RASSEGNA STAMPA CON COMMENTO A FINE PAGINA

 

Da www.lavoce.info del 18-03-2004

 

Sanità in prima linea 

di Rossella Levaggi

 

Il nuovo sistema sanitario, introdotto con le riforme del 1992 e del 1995, si basa su tre pilastri: aziendalizzazione, concorrenza col privato e regionalizzazione del servizio.

Sono criteri simili a quelli scelti nei paesi europei che in questo ultimo decennio hanno riformato la fornitura di prestazioni ospedaliere (Inghilterra, Francia, Olanda, Danimarca), ma in Italia qualcosa non sta funzionando e il problema potrebbe peggiorare nel tempo.

 

L’aziendalizzazione

 

Gli ospedali sono diventati aziende che erogano prestazioni in cambio di un prezzo predeterminato (la tariffa) e devono perseguire almeno il pareggio di bilancio. Si tratta di un grande cambiamento, ma molte strutture non vi erano preparate.

Molti ospedali si sono così trovati nella necessità e nell’urgenza di definire tariffe a prestazione senza gli strumenti contabili adeguati. La stessa definizione nazionale delle tariffe ha affrontato queste difficoltà.

La conseguenza è che per molti raggruppamenti omogenei di diagnosi il prezzo di rimborso non corrisponde al costo: alcune prestazioni sono "più convenienti" di altre e la redditività dell’ospedale dipende dalla tipologia di casi trattati. Inoltre, il nuovo management degli ospedali, forse per tradizione, formazione e cultura, sembra aver privilegiato la riclassificazione dei casi trattati secondo le tariffe più convenienti piuttosto che impegnarsi nell’adozione di nuove tecniche di gestione. Da qui, la frustrazione dei medici, che si vedono costretti a studiare manuali tariffari cercando il modo più conveniente in cui classificare il caso, invece di dedicarsi alla cura del malato.

 

La concorrenza pubblico-privato

 

L’elemento concorrenziale è stato uno dei criteri ispiratori della riforma del 1992, anche se l’ambito e limportanza della concorrenza a livello locale è stato lasciato alla discrezione delle singole Regioni. La rilevanza della concorrenza è tuttavia limitata, ed è condizionata dai problemi di asimmetria tra pubblico e privato nella fornitura della prestazione sanitaria.

Gli ospedali pubblici, perseguono comunque finalità diverse dai privati accreditati, che hanno il chiaro intento di massimizzare il surplus di produzione. Al contrario del pubblico, il privato non deve fornire necessariamente assistenza a tutti, e può quindi concentrarsi sulla fornitura dei servizi più vantaggiosi dal punto di vista del prezzo di rimborso e della tecnologia di produzione.

Il pubblico come fornitore di ultima istanza, deve assicurare la cura a tutti i pazienti e deve quindi sostenere il costo fisso relativo alla diversificazione del trattamento per la stessa terapia. Per fare un esempio, il privato può fornire solo la terapia laser, mentre l’ospedale pubblico deve essere in grado di assicurare la prestazione laser, ma anche quella tradizionale, perché non tutti i pazienti possono essere trattati con la tecnica più innovativa. Il privato può quindi dedicarsi a una fornitura di "nicchia" con possibili ripercussioni sul settore pubblico, costretto a invece garantire le terapie "scomode. Esiste poi un problema ancora più importante. All’interno dei trattamenti proposti, il privato potrebbe scegliere i pazienti che hanno un livello di gravità inferiore e, di conseguenza, un costo meno elevato. Gli ospedali privati potrebbero così ottenere un profitto più alto di quello normale derivante da una semplice gestione economica delle risorse. Si tratta di un comportamento illegale, ma difficile da rilevare: se gli ospedali privati attuano una politica di questo tipo, non lo fanno certamente rifiutando un paziente tout court.

La concorrenza del privato dovrebbe fornire un benchmark per il pubblico in termini di costo efficiente di gestione. Tuttavia, se il privato screma, il pubblico può avere un deficit anche minimizzando i costi di produzione e il regolatore è costretto a ripianarlo. Questo meccanismo dà vita a una spirale così perversa da poter mettere a rischio l’intera architettura del mercato interno sanitario.

 

 

L’articolo contiene inesattezze sostanziali:

  • Non esistono “due riforme del 1992 e del 1995”, ne esiste una sola, la legge 833 del 1978. Sono stati approvati successivamente i decreti legislativi 502/92 e 517/93 che contenevano modifiche anche importanti alla legge 833 che non ponevano comunque il discussione la natura universalistica del nostro SSN anzi, negli intendimenti dei sostenitori dovevano servire a rendere più efficiente il sistema,  in sintonia con quanto previsto dalla nostra Costituzione. Il tempo come si evince da questo articolo ha provveduto a dimostrare quanto si sbagliavano.
  • Gli ospedali non definiscono le tariffe. Questa è una competenza dello Stato e delle Regioni.
  • Nel 1992 non è stata prevista alcuna concorrenza tra pubblico e privato. Era invece stato teorizzato, imitando a spanne la Thatcher, la separazione tra ospedali e territorio per creare una ridicola separazione tra coloro che producono (sic) e cioè gli ospedali e i compratori e cioè le Ulss o come si dice adesso le Asl. Così si sarebbero contrattati tra i due il volume delle prestazioni.  Il tempo, come si diceva sopra, ha provveduto nella sostanza a fare giustizia di queste assurde cretinate.

Clemenceau, importante uomo politico francese del primo novecento, diceva:”La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani dei generali.” Oggi, si può dire che il diritto alla tutela della salute è troppo importante per lasciarlo nelle mani dei tecnici e dei  manager.