GIULIO MACCACARO E LE “CASE DELLA SALUTE”

 

   Il 12 gennaio è stato organizzato dall’Università di Milano un convegno in commemorazione di Giulio Maccacaro nel trentesimo anniversario della morte. Un appuntamento decennale, visto che è la terza volta che si ripete.

   L’interesse per l’opera di Maccacaro si mantiene dopo 30 anni, ciò avviene nel mondo accademico e nel movimento di lotta per la salute. Il segno che ha lasciato è molto profondo anche se, qualcuno potrebbe notare, non sembra essere rimasto qualcosa di immediatamente riconducibile a lui come è avvenuto per il contemporaneo Franco Basaglia che ha operato una rivoluzione nel campo della salute mentale con la chiusura dei manicomi e con la legge 180/1978. Maccacaro ha spaziato nel campo della salute, dell’ambiente e della medicina e della bioetica coinvolgendo ed entusiasmando una generazione di ricercatori, di medici, di operatori della prevenzione e della Sanità e non ultimo di lavoratori e cittadini impegnati nelle lotte contro l’inquinamento e la nocività nei luoghi di lavoro. Certamente il suo apporto più prezioso e determinante è stato nel campo dell’epidemiologia, intesa non come disciplina astratta, ma come scienza fondante la prevenzione e la difesa delle condizioni di salute nei luoghi di lavoro: “La lotta per la salute è in definitiva una lotta per la diminuzione dei ritmi, per la diminuzione della produttività e, quindi, contro lo sfruttamento”.

   Qualche settimana fa a Mestre nell’aula bunker del Tribunale si svolgeva un’udienza del processo contro la Fincantieri per le morti da amianto di diversi lavoratori impiegati nel lavoro di costruzioni e allestimento delle navi, processo nel quale “Medicina democratica” è stata riconosciuta parte civile. Il Tribunale avevano chiamato a testimoniare alcuni lavoratori. Vi era chi si mostrava timoroso, chi in difficoltà per non essere in grado di esprimersi compiutamente, ma vi era chi, a causa della esperienza sindacale,era in grado di documentare e raccontare le condizioni di lavoro, di mostrare come con l’amianto si conviveva, come difficilmente si poteva non essere contaminati, come nonostante le leggi e le conoscenze dei responsabili veniva negato il problema, si facevano lavorare gli operai senza protezione alcuna. Una scena che si era ripetuta molte altre volte nella medesima aula nel più grande processo per le morti del Petrolchimico di Marghera, questa volta a causa della esposizione al cloruro di vinile monomero (Cvm) contro la ex Enichem e la ex Montedison, finalmente in parte condannati dopo 6 anni dalla Corte d’Appello di Venezia, con conferma della Corte suprema. La discussione fra i soggetti interessati è stata molto lunga e ampia. Non solo i lavoratori e i famigliari testimoni, non solo gli avvocati delle parti civili e degli imputati, ma anche gli epidemiologi, gli esperti tecnici si sono succeduti per dimostrare o per contraddire. Molto di più che un’aula di Tribunale, forse molto più che un’Università, un luogo dove si doveva cercare la verità, dove venivano alla luce interessi economici prima della difesa della condizione della salute e della vita, un luogo dove gli scienziati si misuravano prima che in base alla loro scienza, alle loro scelte. Questo si può raccontare in riferimento al pensiero di Maccacaro.

   E vediamo anche se un suo ulteriore grande obiettivo, quello di costruire una nuova e diversa medicina è stato realizzato.

   Che cosa vuol dire curare? “Curare vorrà allora dire, diagnosticamene, ridurre il malato alla sua malattia, la malattia alla sua localizzazione organica, l’organo malato al danno obiettivabile, il danno a un segno e il segno alla sua misura. Per poi ripercorrere, terapeuticamente, il percorso inverso: la correzione del segno mistificata come l’eliminazione del danno, il silenzio dell’organo come sconfitta della malattia, l’obliterazione della malattia come restituzione della salute”. Ora, il grande dibattito sulla Sanità dopo la denuncia delle condizioni del Policlinico Umberto I di Roma si muove nella direzione di “abbattere il vecchio per costruire il nuovo”: tutto diventa ospedale e ospedale tecnologico in cui i malati vengono ricoverati quel tanto che basta o anche meno, per ricevere cure altamente specializzate. Begli ospedali asettici nei quali il rapporto fra persone è sottomesso e sacrificato da astratte per quanto avanzate esigenze terapeutiche: “L’uomo fatto cosa è diventato cosa di un altro uomo”. Non sono certo accettabili le situazioni di degrado sanitario, di inefficienza, di mancanza di controllo ma tutto ciò non può essere un pretesto per privatizzare la Sanità, facendo finta di dimenticarsi che il sistema “Servizio sanitario nazionale” è quello meno costoso e più efficace.

   Bisogna risvegliare la memoria storica degli anni di Giulio Maccacaro e il suo insegnamento per una medicina e una Sanità pubblica su cui è centrale la partecipazione dei soggetti, come individui e come collettività per mantenere o migliorare le loro condizioni di salute e per avere una qualche parte nelle decisioni che li riguardano. La memoria ci invia all’ “Unità sanitaria come sistema”, un articolo di Maccacaro pubblicato nel 1972 precursore della Riforma sanitaria del 1978 e con una sua proposta interna che è ritornata di attualità, quella della “Casa della Saluta”, ripresa dal sindacato pensionati della Cgil e con un inizio di finanziamento stabilito nella Finanziaria appena approvata.

   Di Maccacaro a 30 anni dalla sua non abbiamo ancora scoperto tutto; i convegni ci possono aiutare, ma molto più la realizzazione delle sue idee, fonti di cambiamento. La Casa della Salute è solo l’inizio. Si deve porre mano alla modifica sostanziale dell’organizzazione sanitaria come si presenta oggi al seguito della (contro) riforma del 1992 (Dlgs n. 502) e delle molte misure che sono state prese in funzione della riduzione della spesa e che hanno spostato la Sanità pubblica in modo diretto e indiretto verso il privato. La “Cds” è un’entità totalmente pubblica, critica nei confronti di tutte quelle forme di privatizzazione che vanno sotto il nome di esternalizzazioni, precarietà del personale, sperimentazioni gestionali. Ovviamente nella “Cds” non si esercita nessun tipo di libera professione. Complessivamente come dice all’inizio il documento Spi-Cgil si deve battere l’autoreferenzialità in Sanità. La prima parola è servizio, cui seguono sanitario – sociosanitario – e infine nazionale, perché non è possibile fornire risposte diverse in territori e Regioni diversi. Servizio significa che gli operatori, formati e qualificati non operano in funzione di loro stessi, della loro categoria o del loro ordine. Servizio significa relazione, partecipazione, e ancora “pubblico” significa non ridurre in povertà migliaia di famiglie per i costi aggiuntivi della Sanità, si chiamino essi ticket, parcelle per il dentista, rette per le case di riposo.

   Anche la modalità del finanziamento deve cambiare: non più un sistema che paghi la malattia e quindi moltiplichi prestazioni senza giustificato motivo o addirittura inventi malattie che non esistono, ma un sistema di finanziamento che migliori la speranza di vita in buona salute.

 

Fulvio Aurora

 

IlSole24oreSanità del 23-29 gennaio 2007

 

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