HILLARY SCOPRE LE MULTINAZIONALI

Milioni di finanziamenti in cambio di leggi favorevoli

 

Da nemica ad amica del capitale. Così, senza dirlo apertamente, il New York Times descrive la metamorfosi di Hillary Clinton in funzione delle elezioni presidenziali del 2008. La ex «pasionaria» della Casa Bianca già architetto di rivoluzioni sociali ed economiche, svela il giornale, è divenuta una fervente fautrice del «business», la paladina della Corning, una multinazionale dello stato di New York. Ne tutela combattivamente gli interessi e in cambio ottiene forti finanziamenti elettorali, 137 mila dollari dal 2001 al 2005 per l'esattezza. La ex first lady fa lo stesso, aggiunge il New York Times, con la Met life, un colosso delle assicurazioni, e con la Goldman Sachs, una grande banca d'affari di Wall Street, tutte spalleggiatrici dei repubblicani. Uno scandalo? No, in America non c'è politico, neanche democratico, che non sia legato al capitale. Ma un'amara delusione per la sinistra americana, che in Hillary vedeva il suo cavaliere senza macchia né paura. La «love story» tra la leonessa e la multinazionale dell'hi- tech (fibre ottiche, cristalli liquidi, ceramiche e via di seguito) con 26 mila dipendenti in tutto il mondo, data dal 2001, l'anno dopo che lei fu eletta senatrice dello stato di New York. Alle elezioni del 2000, la Corning aveva finanziato il suo avversario, il repubblicano italo-americano Rick Lazio, che all'ultimo istante aveva sostituito Rudolph Giuliani, il sindaco della Grande Mela. Ma dopo il trionfo di Hillary alle urne, la Corning ci ripensò: nel 2003, versò 10 mila dollari alla sua campagna elettorale, e nel 2004 altri 46 mila. La società sperava che, indipendentemente dalla sua fede politica, la senatrice avrebbe fatto gli interessi delle imprese del suo Stato, come nella prassi. E così fu. Nel 2003, Hillary contribuì al varo di una legge per la riduzione dell'inquinamento tramite lo hi-tech, e la Corning ne beneficiò enormemente. E nel 2004, indusse la Cina ad abolire le tariffe del 16 per cento sulla importazione delle fibre ottiche che danneggiavano la multinazionale. Nella battaglia con Pechino per la Corning, la ex first lady ricorse a tutti i mezzi a sua disposizione. Scrisse al ministero del Commercio cinese, invitò l’ambasciatore al Congresso, chiese l'aiuto del presidente Bush (lo agganciò a Little Rock, all'inaugurazione della biblioteca del marito Bill). James Houghton, il «boss» della Corning, le fu così grato che organizzò un grande banchetto per la raccolta di fondi elettorali. «Era dal 1851, l'anno della fondazione della nostra società - dichiarò ridendo - che non finanziavamo tanto un democratico». Lo scalpore tra i repubblicani fu enorme, ma Houghton non se ne preoccupò: «Hillary - rispose - rappresenta lo stato di New York, e quando c'è bisogno di lei, non si tira mai indietro». E al quotidiano Buffalo News che criticava la disinvoltura della neosenatrice, il numero due della multinazionale James Flaws ribatté che «grazie a lei l'azienda continuerà a prosperare e assicurare lavoro e benessere a migliaia di persone». Il «war chest», il bottino di guerra della signora Clinton, come gli americani chiamano i fondi elettorali, è di ben 33 milioni di dollari, e l' apporto della Corning può sembrare marginale. Ma il legame con l'impresa serve alla candidata in pectore alla Casa Bianca a dimostrare che è capace di lavorare per il «business», a respingere l'accusa dei repubblicani di rappresentare l'estrema sinistra. Fa parte della sua strategia di spostarsi al centro per raccogliere il voto fluttuante, strategia che collauderà alla sua certa rielezione a senatrice il prossimo novembre. Philippe Reines, uno dei portavoce, smentisce che Hillary abbia tradito il suo impegno per le riforme: «Il buon rapporto con il capitale non è apostasia». Ricorda anche che Bill Clinton fu un presidente centrista: «La ex first lady rivendica la sua eredità di nuova democratica». Ma il riallineamento, che la trova persino al fianco di Bush nella guerra all'Iraq, sta costando a Hillary l'appoggio dei «liberal»: quelli di Hollywood la minacciano ormai di boicottaggio. In un discorso al prestigioso Club dell'economia di Chicago, la leonessa non ha sfoderato gli artigli contro i «liberal» che dubitano di lei né contro i «neocon» che la denunciano come una «socialista». Al contrario, si è tenuta in equilibrio tra gli uni e gli altri. Non ha sconfessato lo stato assistenziale né ha attaccato Bush. Si è limitata a sottolineare che «l'America è la più grande economia del mondo perché ha creato una classe media solida che va rafforzata, non indebolita come sta accadendo». Ha perorato la causa dell'assistenza sanitaria, di cui sono privi 50 milioni di americani circa, ma senza sostenere che lo stato deve addossarsene interamente l'onere. E ha proposto misure in difesa delle vittime della globalizzazione, come coloro che perdono l'impiego, e per una minore dipendenza energetica dal Medio Oriente. Nel discorso, il New York Times ha riscontrato l'eco di quello celebre del '91 in cui Bill Clinton promosse il nuovo corso che contraddistinse la sua Presidenza.

 

Ennio Caretto

 

Corriere della Sera di giovedì 13 aprile 2006

 

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