Una lettera pubblicata nel luglio scorso sulla liberalizzazione di vendita di prodotti farmaceutici con la quale ci troviamo perfettamente d’accordo

 

FARMACIE: LA NOSTRA LEGISLAZIONE

 

   Ho l’impressione che in fatto di farmacie ci sia molta confusione, generata dall’idea, sbagliata, che noi si debba prendere per oro colato tutto quanto si dice a Bruxelles. Troppi interessi sono in gioco ed è più facile eliminare quanto di buono qualcuno ha già fatto, con la conseguenza inevitabile che trionferà il più potente ed il più furbo. L’odierna situazione italiana è questa:

1)    Non esiste più il proprietario di farmacia, ma il titolare, che è un soggetto pubblico o privato, autorizzato dalla Regione ad aprire ed esercitare una farmacia, in base ad elementi precisati dalla legge. Lo Stato infatti, per delega alle Regioni, in seguito a precisse norme della Costituzione che tutelano la salute dei cittadini, istituisce un certo numero di presidi sanitari, le farmacie, ripartendole capillarmente per assicurare su tutto il territorio la dispensazione dei farmaci. L’Ente pubblico, tuttavia, non potendo gestire direttamente attività così frazionate le concede in esercizio.

2)    In queste strutture istituite dallo Stato lo Stesso Stato riserva a professionisti qualificati, i farmacisti, il servizio di pubblica necessità, consistente nella dispensazione al pubblico dei medicinali, soprattutto quelli che l’industria prepara e che può mettere in commercio in tutto il territorio, solo dopo una ben ponderata autorizzazione del Ministero della Salute, anche nei riguardi del prezzo. La riserva ai farmacisti ha una giustificazione legale, analoga a quella riservata ai laureati in legge per l’amministrazione della giustizia in tribunale e ai laureati in medicina per le cure e gli interventi chirurgici in tribunale. Con, tuttavia, una differenza importante e cioè: il farmacista in farmacia è obbligato dalla legge a dispensare o a procurare, nel più breve tempo possibile, ogni medicamento richiesto e in considerazione di questo particolare servizio, sono garantite alle farmacie condizioni speciali che assicurano l’indispensabile efficienza economica.

3)    Il fatto, infine, che i farmaci siano sottoposti a particolari norme per essere dispensati (senza obbligo di ricetta, con ricetta ripetibile, con ricetta non ripetibile, con ricetta ministeriale, con ricetta di centri specializzati, e, in ambito del Servizio Sanitario Nazionale, ricette con Nota o con piano terapeutico) non discrimina i farmaci, perché per tutti è necessaria la A.I.C. (autorizzazione alla immissione in commercio). La necessità o meno di una delle dette ricette dipende dalla garanzia che l’autoritèà sanitaria richiede per evitare somministrazioni erronee, danno se alla salute e per questo prevede la responsabilità del farmacista in un ambiente specificatamente deputato e controllato. Se il Governo vuole proprio affidare ai supermercati alcuni farmaci come quelli senza obbligo di ricetta, la cosa più logica da fare consiste nell’eliminare per questi prodotti la necessità di A.I.C. ministeriale e nessuno avrebbe ragione di protestare.

Questa è Costituzione. Definire le farmacie e i farmacisti una lobby significa non sapere che a loro non è concesso contestare in alcun modo i provvedimenti di legge come è largamente riconosciuto a tutte le altre attività, pena la chiusura dell’esercizio o la radiazione dall’albo, come previsto dal Codice Penale. Distruggere una organizzazione, ormai sperimentata e apprezzata dai cittadini, per obbedire a Bruxelles, significa non capire che il farmaco è un bene importante per la salute e perciò opportunamente disciplinato.

 

Ulisse Gallo

già libero docente in Tecnica e Legislazione farmaceutica

Università di Pavia

 

Corriere della Sera di lunedì 10 luglio 2006

 

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