GLI IRAQENI TORNANO IN GARA

 

 

 

L’1 dicembre, a Doha, in Qatar, è cominciata con una faraonica cerimonia inaugurale, la 15^ edizione dei Giochi Asiatici, principale rassegna sportiva del continente. Ma la grande novità, nell’oceano di atleti, giornalisti, volontari e spettatori, è che dopo 20 anni l’Iraq torna a prendere parte alle Olimpiadi d’Asia.

 

Un gradito ritorno. Una grande vittoria per il Paese che, negli anni Ottanta, a causa del regime di Saddam Hussein e delle guerre e dei massacri dei quali il rais era responsabile, era stato estromesso dalla competizione. Adesso vi torna, con la speranza, almeno per qualche giorno, di offrire un sollievo e una soddisfazione all’esausta popolazione irachena. “La situazione in Iraq è molto difficile e l’atmosfera che si respira nel nostro Paese è terribile”, ha commentato alla stampa qatariota Yahya Manhel, membro del Comitato Olimpico iracheno e allenatore della nazionale irachena under 23 di calcio, “ma lo spirito di squadra della nostra rappresentativa è ancora più forte, proprio per questo. Siamo qui per dimostrare a tutti che il popolo iracheno, nonostante la guerra e la violenza, guarda avanti e tenta di portare un messaggio di speranza all’Iraq. Come la nostra gente rischia la vita, così noi atleti, che ci alleniamo tra mille pericoli e minacce di morte, guardiamo avanti e puntiamo alle olimpiadi in Cina del 2008. Ci saremo, per dimostrare che nonostante tutto la vita in Iraq continua”.

 

Simbolo di speranza e unità. E’ importante, in questo senso, l’esempio che daranno a tutti le sorelle irachene Lisa e Lida Agasi, ovvero le esponenti del team di beach volley iracheno.
Non solo sono a Doha a difendere i colori del loro Paese, ma sono anche due donne cristiane. La loro avventura, pur nel compromesso di usate un costume più castigato rispetto ai modelli mozzafiato delle atlete degli altri paesi, è simbolica di come possa in futuro esistere un Iraq per tutti. In molti vedono nella partecipazione di queste due atlete e dell’Iraq uno spot dell’amministrazione Bush per mostrare che, almeno qualcosa, è migliorato in Iraq. Ma proprio il fatto che queste due sorelle siano qui invece, nonostante l’eccidio quotidiano nel quale è sprofondato l’Iraq, è  la prova che la normalità nell’Iraq liberato diventa straordinaria. 

  

La speranza, nonostante tutto. Manhel, quando racconta delle difficoltà che la squadra ha dovuto affrontare, non usa una metafora. Gli atleti, magari proprio perché simbolo della vita che continua, sono diventati uno dei bersagli preferiti della violenza in Iraq. Il primo a pagare con la vita è stato Ghanim Ghudayer, membro del Comitato olimpico, rapito e ucciso tempo fa. Il presidente della federazione irachena di taekwondo, Jamal Abdul Karim, e i 15 elementi della squadra nazionale, sono stati rapiti lo scorso anno. Mohammed Sahib, l’allenatore della squadra olimpica di lotta libera, è stato assassinato. E’ scomparso da tempo anche il presidente del Comitato olimpico, Ahmed al-Hijiya. Molti di loro, nei comunicati dei rapitori, sono stati bollati come ‘collaborazionisti’ per il fatto che avevano accettato fondi da parte degli Stati Uniti per mandare avanti le loro federazioni. E hanno pagato con la vita il tentativo di far andare avanti la vita sportiva irachena, anche mentre il Paese andava in pezzi. La nazionale irachena, dopo 20 anni, torna in campo anche per loro.

 

Ch.E.

 

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