Milza: è assurdo disfare l' Italia che esiste da venticinque secoli

«Da Roma antica al Rinascimento, una cultura sempre all'avanguardia»

 

PARIGI - La storiografia francese aveva un vuoto. Le mancava una vera storia d'Italia. Sembra assurdo pensando ai re di Francia che calarono dalle Alpi con i loro eserciti, ricordando Francesco I che nel 1517 chiamò accanto a sé Leonardo da Vinci, e rivedendo l'immagine di Napoleone e dei suoi soldati che portarono tra noi i semi di Liberté, Egalité, Fraternité. E non fu suo nipote, Napoleone III, a darci una mano per il nostro Risorgimento? Adesso il vuoto è colmato grazie a un grande storico come Pierre Milza, per quarant'anni professore a Sciences-po (Scienze politiche), dove si formano le élites di alti funzionari, poi direttore del Centre d'Histoire de l'Europe du XX Siècle e autore di bestseller come Mussolini (Carocci, 2000). Ha appena finito di scrivere una storia del nostro Paese che pare uscita dal suo cuore e che ha, come sfondo intimo, un padre nato nel 1900 a Bardi, provincia di Parma, che da liceale andò a combattere sul Piave e poi salì in Francia a cercare lavoro. Si chiamava Pietro Milza. L' opera è di circa mille pagine e sarà presto in libreria. L'editore è Fayard. Il titolo: Histoire de l'Italie, dalla preistoria ai nostri giorni, fino a Berlusconi, che è dipinto dall'autore come una sorta di protettore dell'integrità nazionale minacciata dal «fascismo disgregatore» di Bossi e dei suoi fedeli. «È un inno all'Italia - dice Milza -. Sentivo l'impegno morale di scriverlo. L' editore Fayard, per esempio, ha pubblicato tutta una serie di monografie: storia della Germania, della Spagna, dell'Inghilterra. Insomma, tutte le nazioni vi figuravano tranne l'Italia. Per i miei lavori e i miei sentimenti, l'Italia era intessuta nel mio vissuto. E poi letture, biografie e saggi come quello intitolato Voyage en Ritalie, che è la vicenda, spesso tragica, dell'emigrazione italiana in Francia, dove narro anche il massacro di immigrati avvenuto nel 1893 ad Aigues-Mortes, nella Camargue. Lei sa che i suoi connazionali sono ancora indicati con l'epiteto irridente di ritals, la cui origine è incerta. Forse si tratta di un'assonanza, dovuta anche alla pronuncia della "r" francese con il vostro accento». Al richiamo paterno, dunque, si è aggiunto il «dovere morale» dello storico: «Certo, c'è il debito verso mio padre, ma anche l'ammirazione per l'Italia che da tremila anni, a mio avviso, è sempre in anticipo nel divenire della civiltà. La sua produzione culturale è immensa. E poi la molla di scrivere l'Histoire de l'Italie è scattata una decina di anni fa, allorché Bossi e la Lega negarono una nazione italiana. Ne rimasi ferito. Quel burattino con la sua Padania! Come si poteva dire, dopo che tanti si erano sacrificati, che non esisteva una sola Italia. E così decisi di far comprendere ai francesi, che non ne sanno niente, che l'Italia non è cominciata nel 1860, ma cinquecento anni prima di Cristo. Se ci riferiamo alle altre civiltà europee, la romanità risale a quell'epoca. Quando si dice che c'erano Virgilio e Cicerone nel periodo in cui la Germania era solo una foresta, ciò è vero per l'Europa intera. Noi francesi dobbiamo molto a Cesare. E fino al Cinquecento, anche più in là, l'Italia ha sempre avuto il cervello proiettato nel futuro. Mi riferisco anche alla resurrezione del grande commercio internazionale a partire dal Duecento: è l'Italia che inventa la banca e crea la lettera di cambio, in sostanza l'attuale chèque. Insomma, i semi della globalizzazione sono sparsi tra Genova, Firenze e Venezia. Lo dice anche Braudel quando parla dell'economie-monde. Francesco I importa il Rinascimento in Francia nel XVI secolo, oltre cento anni dopo che era cominciato nella vostra terra. L'Italia si è sempre impadronita del futuribile». Milza considera gli antichi romani come i veri antenati degli italiani, perché «la prima unità romana avviene ed è limitata alla Penisola, c'è dunque un'Italia romana prima dell'espansione imperiale». Ma il secolo che lo entusiasma di più è il Quattrocento: «La sua straordinaria proliferazione intellettuale, l'arte, la poesia. È vero: il fiore spuntò nel Duecento e restò vitale per tre secoli. E poi dimentichiamo il Barocco? Nasce in Italia nel Seicento e si diffonde in Europa». Ma quando comincia la decadenza italiana? «Il gran digiuno ha inizio nella seconda metà del Seicento. Il dramma per l'Italia è stata la lunga dominazione spagnola. Declino economico, declino culturale. Perde il suo primato ed è la Francia che diventa la grande potenza culturale. Ma nel XIX secolo l'Italia fa la sua unità, la sua energia è incarnata da uomini politici: Mazzini, Garibaldi, Cavour. A mio avviso, Mazzini può apparire come il padre del terrorismo italiano. Il fenomeno delle Brigate rosse, con i gruppi contigui, è nato dalla disperazione e dai sogni impossibili di giovani provenienti dal marxismo e dal cattolicesimo radicale. Ma c'è anche una tradizione mazziniana di spirito terroristico. Durante i colloqui organizzati a Sciences-po, alcuni fuoriusciti italiani, come Oreste Scalzone, esclamavano: "Siamo i figli di Mazzini"». Tuttavia anche dopo il Risorgimento rimane il problema di fare gli italiani «Era Massimo D'Azeglio a dirlo. L' Italia ha fatto la sua unità molto tardi, c' erano molte Italie e c'erano, quindi, diversi tipi di italiani. Non esisteva la nazione». Dunque la nazione è fondamentale per sentire un'identità italiana? «No, ma era essenziale per un patriottismo che si doveva animare. Gli italiani non hanno avuto il senso della patria come l'hanno avuto i francesi o gli inglesi. Oggi, sono convinto che gli italiani sono dei patrioti, anche se, come i francesi, hanno la tendenza a denigrare il proprio valore. Di là dello sciovinismo del football, gli italiani sono capaci di sentire la patria. È accaduto durante la prima guerra mondiale e persino per la vicenda di Maastricht. Nel Paese che tutti consideravano il bordello d'Europa, la terra dove il civismo è cieco, ci si è stretti la cintura per l'euro. Non dimentichiamo poi che il patriottismo ha subito un colpo molto duro, la guerra civile del 1943-45. È stata una guerra civile, fra gente fascista e gente antifascista. Anzi, in Italia ce ne sono state due, di guerre civili. Una all'inizio del fascismo, dal 1920 al 1925, e la seconda dal 1943 al 1945. E tenga presente che in quel secondo periodo ci sono due armate regolari, una che va a combattere con gli Alleati, l'altra, dotata di quattro divisioni addestrate in Germania, che è schierata con i tedeschi. Ci sono bande armate da entrambe le parti, la Guardia nazionale repubblicana, le Brigate nere, la Muti e i partigiani con garibaldini, azionisti, cattolici e liberali dell'Osoppo. Il massacro è stato reciproco. I marxisti non sono d'accordo sulla definizione di guerra civile perché vedono nella Resistenza una guerra rivoluzionaria. Gli storici seri, da Renzo De Felice a Claudio Pavone ed Emilio Gentile, non hanno invece dubbi sulla realtà di una guerra civile». La storia d'Italia scritta da Milza finisce con l'ascesa di Berlusconi: «Visto dalla Francia, Berlusconi ha rappresentato una vera catastrofe. Invece, io non ho mai pensato che fosse una sciagura. Gli italiani erano stati traumatizzati da Tangentopoli, avevano subito l'oppressione dell'immobilismo politico, erano scioccati dalla scomparsa dei grandi partiti. Così, in questo vuoto politico e scenico, è apparso sotto i riflettori il Cavalier Berlusconi, un Machiavelli del marketing politico e un manager di aziende fortunate. E gli italiani hanno votato per il businessman populista, che prometteva loro di diventare ricchi come lui. L'Italia ha avuto difficoltà economiche? Anche la Francia le ha avute, forse peggiori, e non ha Berlusconi». Nelle parole dello storico francese si coglie una nota di ammirazione: «Berlusconi ha due grandi meriti. Primo, ha indebolito la Lega che è un vero pericolo mortale per l' Italia con il suo fascismo disgregatore e con il suo disprezzo per il Sud. Ebbene, la Lega è stata addomesticata. Gli italiani del Nord e specie i padani dovrebbero sempre pensare alla Rivoluzione napoletana del 1799, che Benedetto Croce considerò tra le più rilevanti della moderna storia d' talia e che fu preparata da quel movimento ricco di spinte evolutive chiamato Illuminismo napoletano. Il secondo merito di Berlusconi è di avere integrato nel sistema politico, come destra liberale, i post-fascisti, gli eredi nostalgici di Almirante. Pochi ci fanno caso, ma Mussolini è diventato solo un personaggio storico su cui si discute.

 

Ulderico Munzi

 

Corriere della Sera di giovedì 14 luglio 2005

 

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