Bloccare il rischio

Intervista a Roberto Bertollino, Oms Europa, sui rischi dell'influenza aviaria

  

I casi di influenza aviaria registrati fra i volatili in Turchia e Romania hanno portato ancor più al centro dell’attenzione le vicende collegate a questa epidemia, in atto ormai da due anni nei Paesi del Sud est asiatico. PeaceReporter ne ha parlato con Roberto Bertollino, Direttore salute e ambiente dell’Organizzazione mondiale della sanità Europa.

 

L’epidemia di influenza aviaria che sta toccando anche l’Europa è di fatto in corso ormai dal 2003 in diversi Paesi dell’Asia. Si continua a parlare del rischio di ricombinazione del virus H5N1 con quello dell’influenza umana, la cui stagione è alle porte. Come mai il timore è adesso così alto, nonostante questo virus sia causa di infezioni da due anni?

Questo timore ha una sua origine storica. Esiste una lunga serie di pandemie influenzali, cioè di epidemie che coinvolgono tutta la popolazione mondiale e che si verificano con una frequenza piuttosto fissa: ogni 25-30 anni da quando si hanno registrazioni di tali malattie. L’ultima pandemia si è verificata nel 1968, quindi sono passati più di 35 anni. Di conseguenza pensiamo che la situazione sia tale da creare le condizioni per il verificarsi di una nuova pandemia. Questo è il primo punto. Il secondo punto riguarda il virus H5N1: è nuovo, particolarmente aggressivo, circola da circa due anni, ha determinato sporadici casi umani dovuti al contagio diretto dal pollo o dall’animale infetto all’uomo. Quindi ha evidenziato potenzialità, ma non efficienza, di trasmissione all’uomo. Nonostante questa scarsa efficienza, l’H5N1 ha le caratteristiche di un virus nuovo, a cui la popolazione umana non è stata esposta fino a oggi e pertanto di un candidato per diventare la causa della pandemia di cui tutti siamo preoccupati o in attesa.

 

Ci sono già tutte le condizioni per l’arrivo di una pandemia o siamo di fronte a un rischio possibile ma ancora non certo in assenza di condizioni favorevoli?

Questo virus, così com’è attualmente, non è in grado di determinare una pandemia, perché non ha quelle caratteristiche di contagiosità rapida e di trasmissione efficiente che lo farebbero il virus pandemico: dovrebbe trasformarsi. Questa trasformazione avviene in due modi. Direttamente dal virus stesso, sebbene improbabile, attraverso rimescolamenti genetici: il virus cambia in continuazione e con una di queste modifiche potrebbe diventare un virus umano. Una seconda possibilità è che si mescoli con un virus già umano: rimescolando i geni fra i due virus, come può avvenire o nel suino o nell’uomo, si forma un terzo virus, che è quello pandemico.

 

Come mai il rischio è più alto ora di quanto non fosse fin dai primi casi registrati nel Sud Est asiatico?

Più il virus H5N1 circola, più è diffuso nel territorio, più si mantiene nella popolazione animale, più animali sono infetti, e più è probabile che si verifichi il cambiamento appena spiegato. Diventa più  probabile che il virus entri casualmente in contatto con un individuo o con un animale che, nello stesso tempo, ospita un virus umano e quindi che questo cambiamento abbia luogo. L’aumento della circolazione del virus, segnalato dalla sua presenza in territori lontani da quelli in cui l’epidemia ha avuto inizio, fa sì che aumenti come dato probabilistico la possibilità di cambiamento. Però non è la certezza. Le misure adottate per contenere la diffusione delle infezioni (abbattimento degli animali, bonifica delle aree colpite, isolamento, vaccinazione della popolazione umana esposta per evitare che si ammali di influenza e possa ospitare i due virus contemporaneamente), cercano di bloccare questa  trasformazione.

 

Già nel 1997, a Hong Kong, si erano verificati casi di infezione da virus H5N1 nell’uomo: anche lì vi era stato il timore di una pandemia, e in effetti erano passati poco meno di trent’anni dalla precente. In quel caso si è cercato di interrompere la trasmissione con l’abbattimento rapido di un gran numero di volatili...

Esattamente. Si cerca di eliminare dalla circolazione il virus. In realtà lì non si riuscì, altrimenti non sarebbe ricomparso. Il tentativo, a Hong Kong, fu di sopprimere completamente  la popolazione animale, per poter dire che anche il virus era scomparso. Invece, evidentemente, ha continuato a circolare in alcune piccole popolazioni di animali, oppure si è mantenuto in animali portatori sani, che esistono.

 

Per poi riesplodere a distanza di sei anni... Sulla possibilità di trasmissione da uomo a uomo, sembra che si sia verificata in Vietnam e in Thailandia, in persone che non erano entrate in contatto con pollame infetto.

Sì, ci sono stati alcuni casi, mai chiariti veramente: è difficile riuscire ad avere una completa e accurata descrizione dei contatti avuti dalle persone. Però, anche se ci sono stati casi sporadici di trasmissione da uomo a uomo, non hanno dato origine a una trasmissione efficiente, altrimenti saremmo già in corso di epidemia. Si sarebbe cioè già verificato il passaggio dallo stadio 3 in cui siamo, di epidemia animale con sporadici contatti umani, allo stadio 4, in cui ci sono i primi focolai epidemici con trasmissione efficiente. Questo non è successo, sono rimasti casi sporadici, se no avremmo dovuto avere, dopo i primi due casi, altri cinque, poi dieci, poi venti, poi trenta eccetera. Non sono stati casi che hanno testimoniato un cambiamento di natura di questo agente virale.

 

 

Valeria Confalonieri

www.peacereporter.net 17 ottobre 2005

 

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