RETICENZE E AMBIGUITÀ

Non è bello che polizia e carabinieri ricorrano alla forza per impedire che un gruppo di dimostranti occupi una ferrovia, una scuola, un'autostrada o, come nella notte fra lunedì e martedì, i cantieri installati per la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità. Ma non è né bello né giusto che un gruppo di cittadini occupi un luogo pubblico o privato per impedire il passaggio di un treno, il funzionamento di una istituzione o l' inizio di lavori regolarmente autorizzati. Anche l'occupazione è violenza. Non possiamo decantare le virtù dello Stato di diritto e condonare le azioni di gruppi locali che agiscono al di fuori della legge. Non possiamo pretendere che le forze dell'ordine combattano la illegalità e condannarle quando cercano di impedire che la legalità venga violata. Non possiamo insomma sostenere che il «popolo» ha sempre ragione e la polizia, quando si oppone ai suoi desideri e alle sue iniziative, ha sempre torto. Era possibile evitare che il caso dell'alta velocità prendesse, come è accaduto nelle scorse ore, una piega violenta? Con qualche lodevole eccezione, fra cui il sindaco di Torino e il presidente della Regione Piemonte, molti esponenti della maggioranza e dell'opposizione hanno dato prova, in questa vicenda, di troppa reticenza e ambiguità. Chi era favorevole alla realizzazione dell'opera non avrebbe dovuto limitarsi a invocare gli appalti e gli accordi italo-francesi o, peggio, a tacere. Come qualcuno cercò di fare all'inizio delle proteste, avrebbe dovuto spiegare che esiste tra Francia e Italia una fondamentale differenza. Il governo francese ha accettato di costruire la linea, dopo molte esitazioni, per venire incontro ai desideri delle regioni a nord delle Alpi immediatamente interessate dal percorso. Ma può sempre, senza danni per l'insieme della nazione, investire il suo denaro nel rafforzamento della rete stradale e ferroviaria che collega la Francia, attraverso il Reno, ai Paesi dell'Europa centrale e orientale. Ciò che per i nostri vicini è secondario, rappresenta per l'Italia un interesse prioritario e vitale. Senza Tav lasceremo nelle mani dei nostri concorrenti l'Europa danubiano-balcanica, vale dire la regione in cui abbiamo realizzato negli scorsi anni, nonostante il cattivo andamento dell'economia, qualche significativo successo. Anche gli oppositori del progetto avrebbero dovuto esprimersi con maggiore concretezza. Sono davvero certi che l'Alta velocità sia incompatibile con le loro preoccupazioni ambientaliste? Sapevano che i Verdi francesi, come ha detto ieri al Corriere uno dei loro leader, considerano la Tav infinitamente meglio dei camion (più di cinquemila) che attraversano ogni giorno la Val di Susa e la Maurienne? Se volevano davvero combattere l'inquinamento avrebbero dovuto insistere affinché la costruzione della ferrovia andasse di pari passo con una più rigorosa politica, anche fiscale, contro i mezzi pesanti. In molti ha prevalso invece il desiderio di compiacere le popolazioni locali e di cavalcare, in questa fase elettorale, le paure dei molti localismi italiani. Non è la prima volta. È accaduto all'epoca del referendum sulle centrali nucleari. È accaduto più recentemente quando si è tentato di dare al problema delle scorie una soluzione razionale e nazionale. Accadrà probabilmente quando si apriranno i cantieri per la costruzione del ponte sullo Stretto. Non è soltanto un vizio della politica. Come abbiamo constatato nelle scorse settimane, è anche un vizio della Chiesa o, perlomeno, di alcuni suoi esponenti locali. Da noi i pastori, civili e religiosi, non guidano il gregge. Lo seguono.

Sergio Romano

 

Corriere della sera di mercoledì 7 dicembre 2005

 

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