GRILLI PARLANTI

 

Non perdono occasione per sparare a zero contro le misure fiscali del governo e accusano Berlusconi di aver varato provvedimenti a suo uso e consumo. Eppure mentre in pubblico polemizzano, in privato approfittano a piene mani delle agevolazioni fiscali. Per non parlare dei condoni.

La sinistra arriccia il naso ogni volta che sente parlare di sanatoria ma appena scattano i termini per mettersi a posto con il fisco ecco che è tutta una corsa a rifarsi la verginità fiscale. Se la sinistra potesse dovrebbe dire grazie a Berlusconi che ha fatto risparmiare diversi milioni, lo direbbe volentieri; e in privato forse lo dice. Ma vediamo qualche esempio illustre di pubblica virtù e vizi privati. Per il fustigatore della morale Beppe Grillo, ad esempio, il condono è sempre stato un vero tabù. Per il Beppe Grillo comico e tribuno di piazza, naturalmente. Non per i Grillo imprenditore e immobiliarista.

Perché in quel caso passava in secondo piano l’opinione dei suoi blogger o qualche testo di piazza pronunciato con parole troppo avventate. E Giuseppe Grillo detto Beppe insieme al fratello Andrea quel condono, anzi l’articolo 9 della legge sul condono fiscale di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, proprio la norma sul condono tombale, l’hanno utilizzata con grande sapienza. Non una, ma due volte, perché mentre in parlamento impazzavano le polemiche sulla riapertura dei termini per prorogare a tutto il 2002 la grazia fiscale già concessa per il periodo 1997-2001, i Grillo risfruttavano la possibilità. Come? Nei bilanci 2002 e 2003 della propria immobiliare, la Gestimar srl con sede a Genova e casette in giro per l’Italia. Così scrive Andrea Grillo nel bilancio 2002, mettendo avanti le mani anche per conto del fratello Beppe (che ha il 99 per cento delle azioni): «In considerazione della possibilità concessa dalla legge finanziaria 2003 di definire la propria posizione fiscale con riferimento ai periodi di imposta dal 1997 al 2001, fermo restando il convincimento circa la correttezza e la liceità dell’operato sinora eseguito, si è rietnuto opportuno di avvalersi della fattispecie definitoria di cui all’ articolo 9 della predetta legge (condono Tombale)». Piccola decisione un po’ nascosta in bilancio e fra mille scuse e inutili professioni di correttezza (applicare il vituperato condono fiscale berlusconiano non era infatti obbligatorio), di cui non si trova più traccia nel bilancio

2004 della Gestimar, che alla fine paga anche un sacco di tasse, più del 60 per cento sul piccolo utile realizzato. In questo caso ben diversamente dalle holding di Adriano Celentano e di Roberto Benigni, come raccontato in questi giorni da Il Tempo. Ma era stato proprio Beppe Grillo, non Celentano o Benigni a tuonare contro i condoni nel giugno 2004, in una vibrante lettera rivolta al direttore del quotidiano La Repubblica. Rivolto ai deputati della Casa delle Libertà, aveva sostenuto: «Mettiamo, per ipotesi, che costoro non abbiano mai rubato, evaso le tasse, corrotto un finanziere o un giudice, maneggiato fondi neri, società offshore, P2, tangenti e condoni...» . La Gestimar dei fratelli Grillo è una società immobiliare con una decina di proprietà sparse fra Liguria e Sardegna. Il portafoglio al costo storico immobilizzato sfiora il milioncino di euro, ma il valore di mercato è probabilmente molto superiore. In bilancio figurano tre unità immobiliari a Marineledda, Golfo degli Aranci, e una casa a Porto Cervo. Due immobili commerciali ad uso ufficio sono controllati a Casella e a Genova Nervi, mentre altre proprietà ad uso civile e commerciale sono solo citate in un elenco indistinto. L’attività della società e i suoi stessi bilanci sono resi possibili da un finanziamento infruttifero da parte del socio Giuseppe Grillo, per un ammontare di

461 milioni di euro, riportato nello stato patrimoniale della società come debito. Che dire poi dei due moralisti Celentano e Benigni veri e propri «miracolati» dal fisco dell’epoca berlusconiana. Benigni paga il 4,5%, Celentano il 14,92%. In comune i due hanno non solo i record d’ ascolto, ma anche altro: commercialista con i fiocchi, e la capacità di aggirarsi come fulmini fra codici e codicilli fiscali emessi durante il «regime» di Silvio Berlusconi. Basta dare un'occhiata ai bilanci delle società cui i due showman a tutto campo hanno affidato le proprie fortune professionali. Se il Clan Celentano ha goduto di una pressione fiscale del 14,92%, nei giorni scorsi, Benigni e la moglie si sono visti portare via dal fisco appena il 4,49% dei sudatissimi guadagni.

Il Molleggiato sembra proprio aver fatto scuola. Non è stato infatti solo lui a sfruttare le possibilità offerte dalla legge approvata dal governo di centrodestra sulle plusvalenze per versare meno tasse al fisco. Nei bilanci di Celentano e del suo gruppo si scopre che il conduttore di Rockpolitik in tre anni ha consegnato all'Erario appena il 14,92% delle somme guadagnate. Gli anni che sono stati presi in esame da Il Tempo sono quelli dei bilanci depositati presso il registro della Camera di commercio di Milano: 2002, 2003 e 2004, quest'ultimo approvato dall'assemblea del 27 maggio 2005, poco dopo la prima firma del contratto per Rockpolitik. Nel triennio di regime la società dei Celentano ha incassato come fatturato 12 milioni e 623 mila euro.

L'utile prima delle imposte è stato di 4 milioni e 787 mila euro. Le tasse finali sono ammontate in tutto a 714.590 euro, equivalenti appunto al 14,92 per cento del guadagno realizzato. Per quanto riguarda i bilanci della Melampo cinematografica srl (la società di produzione dei film di Benigni) negli anni 2001-2004, ci sono giri di affari di tutto rispetto, e utili di conseguenza (salvo nel 2003). Perché in quel periodo, che parte ancora con lo sfruttamento de «La vita è bella», passa attraverso la maxiproduzione di «Pinocchio», e approda a «La tigre e la neve», il fatturato dei Benigni ha sfondato il tetto dei cento milioni di euro. I ricavi complessivi nell'era berlusconiana sono stati infatti di circa 107 milioni di euro, e l'utile, è ammontato comunque a 10,2 milioni di euro, qualcosa come venti miliardi di vecchie lire. Secondo le relazioni di bilancio firmate dal cognato di Benigni, Gianluigi Braschi (fratello di Nicoletta), al fisco nello stesso periodo sono stati versati in tutto 458.535 euro, pari appunto al 4,49%. I Celentano e i Benigni nel loro piccolo, quindi, non hanno avuto comportamenti fiscali diversi dai Ricucci, dai Coppola e dagli Statuto. Eppure sono diventati bandiere viventi del centro-sinistra.

 

Il Tempo di martedì 22 novembre 2005

 

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