LASCIATE IN PACE LA SOCIETÀ CIVILE

 

«Abbiamo fatto esperienza dei politici d'esperienza e non è stata una bella esperienza», disse un giorno Antonio Martino, ai tempi in cui era forse il massimo battutista su piazza. Vuoi mettere la società civile? E tutti: ah, la società civile! Poi, mistero delle mode politiche, l'impetuoso fiotto democratico si inabissò. E tutti: dove sarà, la società civile? Anni carsici. Finché, col ritorno delle zeppe, della gonna tzigana e del cappellone dalla falda a ombrello, è riemersa anche la mitica ancella della Bella Politica. Con la proposta di far correre alle primarie dell'Unione anche un uomo fuori dai partiti, dal parlamento, dai cenacoli, dalle beghe di bottega. Un uomo puro e incorrotto. Che finalmente rappresenti quella cosa che una volta la sinistra chiamava il popolo e la destra la gente. O meglio, versione funaresca, «'a ggènte». Indro Montanelli, che di italiani ne aveva conosciuti diversi, al solo sentir la parola sbuffava: «La società civile? È quasi peggio di quella politica. Del resto cosa chiede la democrazia ai politici? Di rappresentare il popolo. E quello fanno: rappresentano un popolo che è quello che è. Cioè, sotto il profilo del senso civico, il peggiore di tutti i Paesi occidentali». Giuseppe De Rita, profondo conoscitore del Paese, confermava: «Non vedo una grande differenza fra classe politica e società civile. Agli italiani è sempre piaciuta la storia del "governo ladro" e del "pesce che puzza dalla testa", ma quella della corruzione è una contaminazione antica, un'attenzione al proprio particolare. Noi italiani abbiamo un gene egoista che domina la nostra vita». Rino Formica, scafato navigatore della politique politicienne, si spingeva ancora più in là: «La società civile esiste solo nei fumi delle nostre teste». Una visione appena appena meno corrosiva di quella del leggendario Cetto La Qualunque, l'onorevole cialtrone creato da Antonio Albanese, che tra cantieri abusivi e svincoli mai finiti invoca «un mondo in cui proliferino femmine e benessere, dove il cemento sia il collante che unisce la società civile». Eppure, torna e ritorna. Fin dai tempi in cui Giosue Carducci scagliava contro i politici la sua celebre invettiva: «Voi... piccoletti ladruncoli bastardi!». Come non chiedere novità, quando i riti parlamentari o la prepotenza di chi è al potere diventano insopportabili? Ed ecco che questi «uomini nuovi», mitici come Endimione o Bellerofonte, sono stati via via invocati, a ondate, da Mario Segni e Leoluca Orlando, Achille Occhetto e Pancho Pardi, Nanni Moretti e il più nuovo degli uomini nuovi, Tonino Di Pietro, che spronava le masse anelanti a una rivolta dei buoni e veniva incensato da Alessandra Mussolini con parole d'amore: «È l' unico vero leader nazional-popolare. L'autentica espressione della società civile». Per non dire di Ferdinando Adornato nella stagione in cui bollava il pentapartito come «un circo di guitti, saltimbanchi e entraîneuse» finché un bel giorno, a forza di menarla con 'sta società civile, ha raccontato Massimo Gramellini, non fu preso di petto da un elettore perugino: «Senta, io la voto perché me l'ha detto il Pds. Ma se i candidati li decidesse davvero la società civile, può star sicuro che non voterei lei». Ma come dimenticare Silvio Berlusconi, quando agli esordi si appellava (per marcare le distanze da Guglielmo Giannini, padre fondatore dell'idea della «ggente comune») all'«uomo chiunque»? Lui pure, prima di imbarcare «vecchi arnesi della politica» come Gianstefano Frigerio o Alfredo «Centomilavoti» Vito, disegnava la discesa in campo di uomini «nuovi alla politica, campioni nelle proprie professioni, i migliori». E rastrellava gente come Ligabue, Melograni, Colletti appoggiandosi su un'altra battuta di Martino: «I politici sono come i pannolini. Vanno cambiati spesso». E anche sul fronte opposto era tutto un fiorire di professori e intellettuali, giudici e compositori candidati come sindaci e deputati e assessori. Fino alla vittoria. Poi, ciccia. Al punto che i due uomini forti dell'Ulivo, convocati gli intellettuali a Gargonza per farsi una scorpacciata di bucatini e cantare in coro «Dè, benedici o padre!», si incaricarono di dirglielo in faccia. «Io non conosco questa cosa, questa politica, che viene fatta dai cittadini e non dalla politica», sbuffò Massimo D' Alema. E Franco Marini rincarò: «Bravi, continuate così, ci vuole un collegamento con la società. Basta che poi la politica ce la fate fare a noi». E l'hanno fatta davvero loro. A sinistra come a destra. Tornando a invocare un uomo nuovo, un «Guazzaloca» di destra o uno di sinistra, solo nei momenti di bisogno. Anche se, diciamocelo, è ormai necessario chiarirci: chi è un politico e chi un uomo nuovo prestato dalla società civile? C'è una scadenza come per il latte o la ricotta? Silvio Berlusconi va tenuto a parte: lui che è un politico e anche un imprenditore, si tiene in allenamento badando un po' ai suoi affari anche a Palazzo Chigi. Ma gli altri? Dopo tanti anni di agonismo politico sono ancora dei professori gli Urbani e i Pera, i Visco e gli Amato? Domanda non oziosa. Alla proposta di Paolo Flores d'Arcais e altri di lanciare alle primarie un candidato della società civile, Ds e Margherita hanno risposto, come sintetizza l'Unità: «C' è già: Romano Prodi». Ma come: è in politica da 27 anni, quando diventò la prima volta ministro ed è ancora in prestito, come Berlusconi? Fossero terzini o mezzali, avremmo almeno in comproprietà...

Gian Antonio Stella

 

Corriere della Sera di sabato 30 luglio 2005

 

 

PRIMA PAGINA