Un dibattito aldilà e aldisopra della legge salva-Previti

 

Corriere della sera sabato 18 dicembre 2004

 

LO SCANDALO DELLA DIGNITA’ POLITICA

 

   Il rinvio alle camere, da parte del capo dello Stato, della legge sulla riforma giudiziaria con ferma la preoccupazione generale dinanzi a tale legge o almeno ad alcuni suoi aspetti. Forse oggi sarebbe necessario un nuovo appello come quello che nel 1919, in un altro difficilissimo momento della storia italiana, Don Sturzo rivolgeva “agli uomini liberi e forti”. Sarebbe opportuno rivolgerlo a tutti e in particolare, fra gli uomini liberi e forti, a quelli tra essi che militano nella destra o nel centrodestra, giacché le persone oneste e coraggiose si trovano in ogno formazione politica rispettosa delle regole democratiche, a sinistra, al centro e a destra. Fra coloro che fanno parte dell’attuale coalizione di governo o l’appoggiano, vi sono certamente molti galantuomini di amino non servile.

   Essi non sono meno indignati, turbati e umiliati di quanto non lo siano gli avversari del governo dalla recentissima approvazione dell’indecente legge che abbrevia i termini della prescrizione.

   Qui non si tratta più di destra o di sinistra, di statalismo o di liberismo, di consenso o dissenso sulla guerra in Iraq, di separazione o no delle carriere dei magistrati e così via, legittimi temi della consueta lotta politica che vede legittimamente affrontarsi e scontrarsi forze e opinioni diverse. Qui si tratta della degradazione civile che declassa a manfrina di interessi nemmeno di parte, ma personali la legge, che è “uguale per tutti” e fondamento dello Stato e di ogni comunità umana, come sottolineava il cardinale Ratzinger ricevendo la laurea honoris causa in diritto. E’ un pervertimento scandaloso, che svilisce lo Stato, la cosa pubblica, la Patria. Spetta agli uomini onesti d’ogni parte ribellarsi a questa indegnità politica, egualmente pericolosa e lesiva per tutti, che disonora l’Italia.

   Naturalmente qualcuno potrà dire che non è con la morale o col moralismo che si fa politica. E’ vero, ma non la si fa nemmeno con l’immoralità. Non basta essere onesti per essere buoni politici, ma non basta nemmeno non esserlo. Nessuna auspica al timone del Paese una virtù fanatica e astratta, pericolosa e autoritaria come quella dell’incorruttibile Robespierre. Ma neppure l’opposto è auspicabile. La politica è l’arte del compromesso, che implica – fino a un certo punto – pure la morale. Ma la dignità o l’indegnità di una politica si misurano sulla qualità e sul grado di tale compromesso. Al di sotto di un certo livello di decenza, la questione non è più solo morale, ma diviene politica, perché mina le istituzioni, l’ordine della società, tutti gli aspetti della vita associata; è una vera e propria sovversione.

   Lo sapeva bene Benedetto Croce, così duramente critico di ogni moralismo astratto, quando diceva – contestando il famoso e cinico detto di Enrico IV, secondo il quale Parigi vale una Messa – che una Messa vale più di Parigi, perché è un fatto spirituale e come tale costituisce un nerbo, una sostanza della vita umana, individuale e collettiva. Salvare l’anima non vuol dire essere colombelle putibonde, ma salvare l’integrità della propria persona; essere liberi cioè forti, anziché eunuchi. Essere succubi della mutilazione subìta dal Paese con l’approvazione di quella legge è un’onta per tutti; gli onesti uomini di destra, cui le sorti dell’Italia stanno certo a cuore non meno che agli onesti uomini di sinistra, non dovrebbero permettere che la destra sia identificata con questo eversivo attentato alla civiltà della nostra Patria comune. Un grande scandalo può certo provocare una crisi salutare. “E’ necessario che avvengano gli scandali”, dice il Vangelo, ma aggiunge: “Guai a quell’uomo per cui avviene lo scandalo”.

 

Claudio Magris

 

 

La replica di Giuliano Ferrara

Caro Direttore, non so se definirmi un «galantuomo non servile» o «una persona onesta e coraggiosa», come scrive Claudio Magris a proposito di coloro che appoggiano il centrodestra ma dovrebbero ribellarsi all'offesa che la dignità della politica riceve dalla norma salva-Previti in approvazione in Parlamento. Forse no, forse non è questa la definizione giusta, forse le definizioni «giuste» sono tutte un po' sbagliate, forse sono troppo cinico per accettare di considerarmi «giusto». Forse. Sono invece sicuro di queste semplici considerazioni. La norma salva-Previti è imbarazzante e sgradevole. Sarebbe stato meglio riformare radicalmente la giustizia, stipulare dopo dieci anni di politicizzazione evidente della magistratura un patto costituzionale capace di superare l'impasse che ha messo i processi al centro della politica e la politica al centro dei processi, ripristinare l' articolo 68 della Costituzione che prevedeva la difesa della divisione dei poteri affidata alle Camere. Per lunghi anni, nella nostra democrazia, la legge non fu «uguale per tutti», e per decisione dei costituenti i parlamentari potevano decidere in nome dell'autonomia del legislativo dal giudiziario di non essere né indagati né processati in presenza di un fumus persecutionis: una ragione non ignobile per quella decisione di Terracini, Moro, Dossetti, La Malfa, Andreotti, De Gasperi, Nenni, Togliatti, Calamandrei ci sarà stata, credo. Tutto cambiò con la sciagura dei linciaggi politico-giudiziari del ‘93, e il resto è storia di brutale contrapposizione amico-nemico. In modi non ortodossi, che rispondono perfettamente ad altri modi non ortodossi sebbene togati, il centrodestra si batte per non essere piegato e sconfitto in processi che denuncia come prevenuti, non imparziali, politicamente pregiudicati. E' successo, in casi meno clamorosi ma qualitativamente identici, anche al centrosinistra: anche loro si sono difesi in modo magari più flautato, ma non meno efficace, anzi più efficace, da quelle che consideravano improprie invasioni di campo della magistratura nella politica, non esercizio puro della giustizia. Che la politica, divincolandosi dalla stretta giudiziaria non considerata legittima, si batta spesso male, spesso a vanvera, è chiaro. Ma è questo un feroce contrasto politico, che solo la politica può sanare, non la morale. Non è una questione di dignità, ma di intelligenza. Magris può agevolmente dimostrare che in una città ideale nessuno dovrebbe farsi la legge per sé, ma non può dimostrare che l' Italia di questi anni, di questi ultimi dieci anni, sia stata la città ideale. L' appello idealista alla dignità, per non avere il sapore di un ulteriore inutile e dubbio pronunciamento giacobino-girotondino, dovrebbe essere accompagnato da un appello realista a cambiare le regole che la città si era data con la Costituzione del ' 48 e che si è tolta per paura, per indegnità politica, dopo la sera delle monetine. Che fu la sera della Repubblica, l'inizio di un decennale scontento. Ciascuno può festeggiare come desidera il proprio essere superiore, il proprio essere dalla parte della legge, la propria onestà e il proprio galantomismo, ma la vera festa repubblicana, quella che ricompone e riunifica un Paese oltre il normale conflitto politico, comincerà quando prenderemo atto del fatto che l'esercizio dell'azione penale, con i processi a raffica e le assoluzioni a raffica e le prescrizioni a raffica, è diventato una grande raffica di poco credibili atti di sommaria ingiustizia. E che la politica da sempre e ovunque, a Parigi come a Roma, risponde a chi attacca il suo primato, legato all'esercizio delegato della sovranità popolare, difendendo la sua «inviolabilità» (formula francese) o la sua immunità. O con un articolo della Costituzione approvato da «galantuomini» che quella Costituzione scrissero o con un codicillo contro il quale si strilla nel deserto. Nel deserto dell' intelligenza realistica e della comprensione politica.

Giuliano Ferrara

La controreplica di Magris

Ringrazio Giuliano Ferrara per l'attenzione e colgo pure l'occasione per ringraziarlo, come avrei dovuto fare da tempo, per l'attenzione che mi dedica da molti anni, talora generosamente partecipe su motivi di consenso, talora, come è giusto, vivacemente polemica su motivi di dissenso. Che la politica non debba essere moralistica né giacobina, bensì realisticamente disponibile a compromessi non indecenti l'ho scritto io, nell'articolo a cui Ferrara si riferisce. Quanto ai galantuomini d'animo non servile, leggo che - come riportato in prima pagina a titoli cubitali da Libero il 17 dicembre - Berlusconi ha detto ai suoi: «Siete dei cretini. Non siete neppure capaci di scrivere le leggi». Sono sicuro che qualcuno di loro, a sentirsi dare del cretino, avrà reagito, come ogni uomo dabbene, con un ceffone.

Claudio Magris

Ma il dibattito su un tema così controverso non si esaurisce di certo….

 

 

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