Intramoenia, quante ingiustizie

 

La signora P.R. mi dice: <<Mi avevano consigliato di fare una mammografia perché avevo un nodulo al seno. Con notevole apprensione sono corsa subito all’ospedale per fissare un appuntamento. “Venga fra due mesi”, mi disse il medico. Obiettai che volevo avere il risultato il più presto possibile. Mi rispose che potevo fare l’esame nel giro di tre giorni, pagando>>.

G.F. invece mi scrive: << Le sembra giusto che a settant’anni con tutte le tasse che ho pagato in quarant’anni di lavoro debba usare una parte della mia pensione per poter fare una colonscopia prescrittami dal mio medico? Devo pagare perché altrimenti avrei dovuto aspettare tre mesi>>.

Un ascoltatore al termine di una mia conferenza commenta: <<Il Servizio sanitario nazionale, non è uguale per tutti, come lei afferma, perché è vero che si ottiene tutto, ma i tempi per ottenerlo sono diversi a seconda del portafoglio. Chi paga riceve più attenzione ed evita le lista d’attesa>>.

Tre situazioni, tre garbate proteste che fotografano bene ciò che accade spesse nelle aziende ospedaliere e nelle Asl: gli stessi operatori sanitari, le stesse strutture, le stesse apparecchiature sono disponibili immediatamente se si paga, altrimenti si aspetta.

Si deve sottolineare che non tutte le équipe mediche hanno accettato di mettere in opera ciò che in linguaggio tecnico si chiama “servizio intramoenia2 e, in linguaggio più popolare, “attività privata all’interno della struttura pubblica”. Il servizio intramoenia, laddove si svolge, sembra avere il consenso di molti: i medici arrotondano lo stipendio, le aziende ospedaliere introitano un po’ più di denaro, i cittadini stessi più danarosi considerano la situazione con rassegnazione.

C’è tuttavia nell’attività intramoenia un’ingiustizia così profonda da contraddire completamente il concetto di equità su cui si basa la legge 833 che nel 1978 istituiva il Servizio sanitario nazionale. I più danneggiati sono ovviamente i più poveri, i meno colti, i più vecchi, i quali spesso non si rendono neppure conto del sopruso e così accettano tranquillamente di non avere con tempestività esami e cure che potrebbero essere indispensabili per evitare danni maggiori.

A difesa dell’attività intramoenia si risponde che in fondo molti esami non richiedono che siano eseguiti con urgenza. Se questo è il caso, perché – anziché dare al paziente un’adeguata spiegazione – lo si invita a ricorrere alla soluzione onerosa?

Qualcuno dice che tutto sommato, alla fine non sono poi molti coloro che devono pagare rispetto ai servizi resi dal Servizio sanitario nazionale. Se così fosse, non è questa una buona ragione per annullare l’attività privata nella struttura pubblica?

Sembra molto avvilente, poco dignitoso e certamente contrario all’ideale rapporto fiduciale fra medico e paziente il fatto che il medico debba proporre – e magari insistere – perché il paziente accetti di rivolgersi al servizio a pagamento. Gli stessi medici dovrebbero insorgere e richiedere l’abolizione di questo servizio che ha rappresentato un iniquo compromesso a danno della popolazione, fra chi voleva il tempo pieno all’interno dell’Ospedale e chi voleva continuare a utilizzare le strutture pubbliche come trampolino per alimentare le attività delle cliniche private.

Il fatto che non sia stato ancora concluso il contratto di lavoro per i medici del Servizio sanitario nazionale può rappresentare una grande opportunità per riflettere e per riformare l’attività intramoenia. Riformare in realtà vuol dire abolire, perché è difficile pensare a una riforma che renda meno iniquo il sistema.

Si potrebbe ad esempio stabilire che l’attività intramoenia sia svolta solo in assenza di liste d’attesa. Ne vale la pena? Quanti sarebbero i cittadini che preferiscono pagare piuttosto che usufruire di un servizio gratuito?

Si potrebbe decidere che solo per coloro che hanno un reddito superiore ad un certo limite vi possa essere l’accesso all’intramoenia, per gli altri non ci dovrebbe essere una lista d’attesa se non per le situazioni che possono aspettare.

Si tratta tuttavia di “pannicelli caldi”: si ritorni ad attuare in pieno il dettame della legge 833. Si possono fare risparmi perché gli sprechi sono ancora molti; on i risparmi si finanzi il potenziamento di quei servizi che hanno le liste d’attesa più lunghe. Soprattutto facciamo cultura: quella che fa in modo che il medico non faccia richieste inutili e spiegji al paziente il motivo per cui spesso non c’è nessuna urgenza.

 

Silvio Garattini

 

 

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