“BASTA AZIENDE. E FACCIAMO UNA COSTITUENTE”

 

            Si è riaccesa la protesta dei medici per il mancato rinnovo del contratto nazionale, che tuttavia non sembra essere stato il principale obiettivo degli scioperi. Esiste infatti uno stato di scontento e di disagio nei confronti di un Servizio sanitario nazionale che si sta trasformando in direzioni ancora poco chiare e determinate. Si sovrappongono interessi pubblici e privati, le esigenze di un servizio che vuole essere universale con le limitazioni delle risorse disponibili, la presenza di sprechi e l’esistenza di una corruzione che pur essendo assolutamente minoritaria disorienta il pubblico e lo rende diffidente nei confronti di un servizio che ha innegabili pregi e competenze.

    Dopo un quarto di secolo dalla legge 833, una legge di grande civiltà che offre un servizio sanitario per tutta la popolazione indipendentemente dal suo reddito, può essere giunto il momento di porre un po’ d’ordine fra i numerosi decreti, leggi e leggine che si sono susseguiti nel corso degli anni. Da questo punto di vista potrebbe essere utile organizzare una specie di “costituente” per rivedere tutto il sistema con l’aiuto dei cittadini, delle forze sociali, degli esperti e soprattutto di un gruppo di saggi che al di sopra della parti possa trarre delle direttive attraverso cui rivedere e ristrutturare il sistema. Ciò eviterebbe una serie di affrettate e continue modifiche che cercano in modo spesso disordinato di porre rimedio a problemi contingenti senza pensare al medio-lungo termine.

    Nel frattempo vi sono alcune considerazioni – peraltro in parte espresse in un manifesto firmato da vari operatori sanitari fra cui il sottoscritto – che forse possono essere d’aiuto a rendere la contrattazione fra medici e Stato un po’ meno mercantile e un po’ più vicino all’interesse degli ammalati. Anzitutto si dovrebbe cancellare una volta per tutte il concetto di azienda. Questo concetto, che poteva avere una sua giustificazione nel richiamare la necessità che nel servizio pubblico entrassero le caratteristiche dell’agilità e della flessibilità tipiche dell’attività privata, è andato via via degenerando in modo inaccettabile per un’attività che ha per obiettivo il mantenimento della salute. Anziché semplificare le procedure è aumentata negli ospedali, ma anche nelle attività sul territorio, una burocrazia che paralizza ogni iniziativa.

Anziché ricorrere ad una razionalizzazione dei servizi e a un impiego intelligente delle risorse, si sono coperti gli sprechi gravando sui pazienti attraverso una serie di ticket spesso pesanti con forti discrepanze fra le varie Regioni.

    Ciò che disturba di più i cittadini è la introduzione dell’attività intramoenia. In pratica per i medici che scelgono il tempo pieno e si impegnano a non lavorare in altre strutture private, si è concessa la possibilità di avere una struttura privata all’interno delle strutture ospedaliere. La cosa sarebbe insignificante se la volontà di ricorrere a una visita privata fosse una libera scelta del cittadino. In realtà, pur con le dovute eccezioni, oggi questa sta diventando una scelta obbligata, perché l’ammalato si trova di fronte a un’alternativa inaccettabile: mettersi in lista d’attesa oppure nel gruppo di coloro che pagano per non entrare nella suddetta lista. Ciò vale ormai per quasi tutto: interventi chirurgici, esami diagnostici, visite, riabilitazione. Così con gli stessi operatori sanitari, le stesse strutture e le stesse apparecchiature si crea una reale discriminazione fra chi può pagare e chi ha mezzi limitati, in forte contrasto con le finalità della legge istitutiva del Ssn. E’ lecito il sospetto che le liste d’attesa si possano allungare proprio per avere più entrate attraverso l’attività privata all’interno della struttura pubblica.

    E’ ora che questo “commercio” abbia fine se non si vuol perdere la fiducia, ancora solida, dei cittadini nei confronti dei medici. La possibilità della reversibilità del rapporto dei medici con il Servizio sanitario nazionale non potrà che aggravare la situazione perché si creerà una competizione fra attività intramoenia e attività a favore di strutture private. E’ tempo invece di ridefinire il ruolo del medico all’interno delle strutture ospedaliere: chi vuole rimanere nell’ospedale dovrebbe rinunciare a qualsiasi altra attività che sia in competizione con gli interessi dell’ospedale stesso; in nessun altro campo un dirigente lavora contemporaneamente per due industrie in competizione tra loro. Se si devono adeguare gli stipendi per questa esclusività il problema non è così complicato.

    Intanto un vero tempo pieno diminuirebbe considerevolmente il numero dei medici mentre molte altre risore si potrebbero reperire, proprio per la continua presenza del medico, da una migliore organizzazione e dall’impiego di mezzi diagnostici, terapeutici e riabilitativi che abbiano una solida base scientifica e non siano il risultato di lobby, mode e propaganda.

 

Silvio Garattini

 

 

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