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Sergio Rizzo

 

Segreto di Stato su tutte le case del premier

 

  ROMA - Il segreto di Stato cala su tutte le residenze del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Non soltanto, come già era noto, su Villa Certosa, in Sardegna. Ma anche sulle ville di Arcore e Macherio e su palazzo Grazioli, a Roma. E cala pure sulle abitazioni dei suoi familiari e persino su quelle dei non precisati (per numero e nome) diretti collaboratori.
La sorpresa arriva alle 13.37 di ieri attraverso l'agenzia Ansa ed è contenuta in due decreti, datati 6 maggio 2004, che il sottosegretario alla presidenza Gianni Letta ha inviato il 7 febbraio al Copaco, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Il primo dei due provvedimenti è di tre righe: stabilisce l'approvazione del piano nazionale antiterrorismo e contiene anche il piano, secretato, per la sicurezza di Villa Certosa. Il secondo individua la residenza in Sardegna come «sede alternativa di massima sicurezza per l'incolumità del presidente del Consiglio e per la continuità dell'azione di governo». Ma indica pure che tutte le residenze del premier (non solo, quindi, Villa Certosa), come pure quelle dei suoi familiari e dei suoi più stretti collaboratori sono sottoposte alle misure di massima sicurezza e sono assoggettate «alla legge 801 del 1977»: il provvedimento, appunto, che disciplina il segreto di Stato. In tutti quei luoghi l'accesso sarà possibile soltanto con l'autorizzazione del premier.
  «Una specie di repubblica personale del presidente del Consiglio», commenta il senatore di Rifondazione comunista Luigi Malabarba, uno dei quattro membri dell'opposizione del Copaco. «E dai confini sconosciuti», insiste, sottolineando come nell'accezione «suoi diretti collaboratori» sia possibile comprendere davvero tutto. «Ma se il pericolo del terrorismo fosse arrivato a questo punto», osserva ancora Malabarba, «non capisco perché analoghe misure non debbano essere prese per il capo dello Stato e i presidenti delle Camere».
  «E' una cosa incredibile», commenta il diessino Giuseppe Caldarola, altro componente del centrosinistra nel Copaco, che ricorda come sulla questione sia in atto nel comitato un durissimo braccio di ferro con i quattro rappresentanti della maggioranza, «i quali si sono perfino opposti alla richiesta di vedere i documenti, arrivando perfino a contestarla».
  La vicenda parlamentare ha origine in seguito all'iniziativa della Procura di Tempio Pausania. Dopo che un'ispezione disposta sui lavori in corso l' estate del 2004 a Villa Certosa era stata bloccata con l'apposizione del segreto di Stato, il procuratore capo Valerio Cicalò aveva presentato, con il patrocinio dell'avvocato Alessandro Pace, un ricorso alla Corte costituzionale. E della questione era stato investito il Copaco. Dove lo scontro fra i quattro componenti dell' opposizione (a chi spetta anche il presidente, Enzo Bianco) e i quattro membri della maggioranza era stato subito durissimo. Finché in seguito al rapimento in Iraq della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena si era decisa, di comune accordo, una pausa, ritenendo poco opportuno proseguire la colluttazione in un momento così delicato.
  E ora? Per Malabarba a questo punto si andrà a votare. «Con un risultato scontato. Finirà quattro a quattro e per la prima volta nella storia il Copaco non potrà dare un parere sul segreto di Stato». Non cambierà comunque nulla. Il parere del Copaco sul segreto di Stato non è infatti vincolante e anche se fosse negativo non ci sarebbero conseguenze pratiche. Quelle politiche, invece, non mancheranno. Per il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio si va «oltre ogni limite di decenza. E' un atteggiamento che tradisce l' arroganza del premier, ormai abituato a considerare l' Italia una sua proprietà privata». Mentre Ermete Realacci, della Margherita, non esita a definirla «una vicenda surreale, che ci copre di ridicolo agli occhi dell' Europa».

 

  Corriere della Sera di sabato 19 febbraio 2005

 

 

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