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Gian Antonio Stella

 

La poltrona che cancellò il terzo polo

Il governo Berlusconi ha battuto un nuovo record: con la nomina alla Salute di Rocco Salini, ha superato in poltrone il «D'Alema bis», bollato allora da Pier Ferdinando Casini come «il governo col maggior numero di sottosegretari dal dopoguerra a oggi». Tra premier, vicepremier (due, contando Fini solo qui e non agli Esteri) ministri (22), viceministri (9) e sottosegretari (58), l'attuale esecutivo si è infatti inerpicato fino a 92 «careghe». Una in più del disprezzato gabinetto di «Baffin di ferro». Anzi, due. Nonostante sia stato inserito, con qualche malizia, nel sito Internet di Palazzo Chigi, Romano Misserville infatti non diventò mai sottosegretario: si dimise prima, per le polemiche sollevate dal fatto che mai si era visto entrare in un governo di sinistra un uomo col ritratto dietro la scrivania di Benito Mussolini.
Parliamo s'intende, a dispetto dello strafalcione polemico casiniano, della Seconda Repubblica: nella prima resta in testa il settimo governo Andreotti: trenta ministri e 69 sottosegretari. Ma il Cavaliere, avanti così, può fare il sorpasso. Dall'insediamento a oggi ha già aggiunto (oltre alle girandole ministeriali dovute agli addii di Ruggiero, Tremonti, Frattini...) sette new entry . Un altro sforzo e chissà...
Certo è che sul tema, a destra, hanno cambiato idea in tanti. Basti ricordare, appunto, le legnate (ben date e ben ricevute) impartite al governo varato dall'allora leader diessino nel dicembre ’99. Gianfranco Fini chiese al Quirinale di vigilare se il nuovo esecutivo non avesse distribuito tanti incarichi «da legittimare quel che tutti temono, cioè che alcuni votino in favore solo perché sottosegretari».
Giuliano Urbani parlò di «libidine delle poltrone», Silvio Liotta di «un’abbuffata di potere nauseante», Rocco Buttiglione di un «mercato» per «moltiplicare i sottosegretari».
Adolfo Urso ironizzò su «una armata Brancaleone arruolata con varie prebende per ottenere anche l’ultimo scampolo di voto». Antonio Tajani denunciò «un governo nato all’insegna dell’occupazione delle poltrone: 66 sottosegretari nominati per tenere unita, con la colla del potere, una maggioranza divisa su tutto». E aggiunse velenoso: «Ricordiamo per beneficio d’inventario che Berlusconi nominò soltanto 39 sottosegretari». Puntualizzazione già fatta anche da Maurizio Gasparri: «Il governo Berlusconi ne aveva meno di quaranta!».
Quanto al Cavaliere, si disse schifato per la «vorticosa girandola di poltrone» e l’«esercito di sottosegretari mai visto». Al momento di scendere in campo nel ’94, del resto, era stato chiaro: «Il mio governo sarà più snello». Anche se, aveva aggiunto pensando ai 34 di Amato e ai 36 di Ciampi (quelli sì, pochini) «sarà difficile diminuire il numero dei sottosegretari». Come ha fatto ad accumularne oggi (viceministri compresi) quasi il doppio, nonostante ancora nel giugno 2001 avesse promesso che sarebbero stati «meno delle altre volte»? Una risposta, dicono i maligni, può essere trovata partendo proprio dall’ultima promozione.
Quella di Rocco Salini. Il quale, senza la prebenda, l’auto blu e la segreteria, aveva fondato un «Terzo Polo» minacciando di fargli perdere le elezioni regionali in Abruzzo.
Già segretario regionale della Dc ed erede di Natali (il concorrente abruzzese di zio Remo Gaspari), Salini era arrivato alla presidenza della Regione quando sul più bello, nel 1990, gli avevano messo le manette. Processato e condannato a un anno e qualche mese, s’era visto buttar fuori dalla politica con una interdizione di 5 anni dai pubblici uffici. Un guaio, per uno che tiene i principi imbullonati alle poltrone. Ma si sa, da noi tutto è possibile: anche candidarsi alle elezioni senza che un giudice riesca a mettersi di traverso applicando la pena. Fu così che il nostro pur essendo ineleggibile si presentò alle Regionali del 2000 e fu il più votato di tutti. Quanto bastava perché, prima che il voto fosse annullato, Forza Italia lo candidasse alle Politiche nel collegio di Teramo. Collegio tradizionalmente «rosso». E per di più destinato dall’Ulivo ad Anna Serafini, la moglie di Piero Fassino. Altra vittoria. Dopodiché Salini si mise in attesa: glielo avrebbero dato o no, con tutto quel ben di Dio distribuito da Berlusconi, uno straccio di ministero o di sottosegretariato? Macché. Non bastasse, via via che si avvicinavano le Regionali, capì che anche la speranza d’essere candidato dal Polo a governatore dell’Abruzzo al posto di Giovanni Pace, stava andando in frantumi. Un peccato. Tanto più che la maggioranza, con una leggina «ad personam», aveva di fatto eliminato dalla gara il sindaco ulivista di Pescara Luciano D’Alfonso, che i sondaggi davano per vincitore, riaprendo buoni spazi a una conferma della destra.
Fatto sta che, all’offensiva di un centro-sinistra per una volta unito che schierava Ottaviano Del Turco e attaccava rinfacciando per esempio a Pace di non avere approvato un solo bilancio nei tempi fissati dalla legge, d’essere uscito da un pool di regioni più ricche per comprare una sede a Bruxelles tutta abruzzese o d’aver assegnato fior di incarichi al genero, si erano aggiunte un po’ di defezioni nella Casa della Libertà e in più la minaccia di Salini di fare un «Terzo Polo». Una lista propria che, probabilmente, sarebbe stata fatale al centro-destra.
Mettetevi al posto del Cavaliere: non gliela avreste data una poltrona, per il bene del polo del Bene? Detto fatto, l’inquieto senatore forzista ha ritrovato l’entusiasmo e la fiducia: «Ringrazio il presidente Berlusconi interpretando i sentimenti di tutti gli abruzzesi...». E poi dicono che i sottosegretari non servono...

 

   Corriere della Sera di lunedì 14 marzo 2005

 

A DISPOSIZIONE DELLO SPIRITO

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