Alcune condivisibili considerazioni, approfittando delle elezioni, per riflettere sullo stato del nostro Paese. L’appello finale è deboluccio ma non spetta certamente ai due autori trovare le soluzione ad un malessere così esteso.

 

“TURARSI IL NASO E VOTARE”?

            
C'è un quarto d’italiani composto da gente che non si entusiasma affatto per quei brodi riscaldati che sono i programmi elettorali. E dello stesso umore sono anche molti di quelli che andranno a votare, ma non a manifestare un voto “per”, bensì “contro” le posizioni ritenute peggiori delle altre. La politica ha oramai creato una serie di fronti trasversali che rendono insignificanti le presunte contrapposizioni ideologiche tanto care ai media di regime. Altro che bipolarismo! Ha ragione Massimo Fini quando dice che “di fatto noi siamo schiavi di un'oligarchia di potenti che hanno monopolizzato anche le forme di consenso democratico” (1). Davvero emblematica, in tal senso, la questione Tav (treni ad alta velocità), con Prodi che proclama: “La Tav si farà”. Il riferimento è chiaramente rivolto al dissenso popolare che secondo Prodi riguarda solo la Val di Susa... Ma dov'era il professore bolognese quando la gente valligiana riceveva la solidarietà di tutto il Paese dopo essere stata violentata dalle forze dell'”ordine” inviate dal governo di centro-destra? Oppure quando si discuteva sui media grandi e piccoli (anche le televisioni nazionali hanno offerto dei servizi di qualità per capire cosa stava accadendo) e si rifletteva sulla necessità di rispettare il diritto di autodeterminazione e la libertà delle comunità locali di scegliere i modelli su cui fondare il proprio futuro?

 

Una democrazia che non c'è più

 

La legge elettorale approvata nei mesi scorsi (senza che vi sia stata una convincente e decisa opposizione da parte del centro-sinistra) favorisce la tendenza a concentrare in pochi e ristretti gruppi oligarchici tutto il potere decisionale. Quando andremo a votare, saremo di fronte a liste bloccate perché i candidati saranno stati scelti esclusivamente dalle segreterie centrali dei partiti (a destra come a sinistra). Altro che democrazia! Il potere politico è saldamente nelle mani di poche e ristrette élite concentrate a coltivare relazioni con il mondo dell'economia, delle banche, della finanza, dei mass media. Ai cittadini oramai è assegnato il ruolo di comparse.

 

Del Cavaliere di Arcore, e del contratto con gli italiani che sottoscrisse nel salotto di Bruno Vespa, non ci occupiamo. Le valutazioni del caso sono ben rappresentate da una singola “battuta” del Financial Times (13 giugno 2002): «Ci scusi signor Berlusconi, ma lei non era quello che doveva dare una bella scossa all'Italia? A noi sembra che in quest'anno lei si sia occupato soprattutto dei suoi affari. In quel campo ha avuto un gran successo». Non serve aggiungere altro, tranne che estendere il riferimento temporale a tutti i cinque anni di governo.

 

D'altro canto, il centrosinistra e le forze che lo compongono dimostrano di non possedere tratti distintivi diversi dalla melassa berlusconiana. Anzi, le diversità paiono sempre più sfumate, sacrificate sull'altare di una società televisiva dove siamo tutti attori di un colossale reality show la cui unica ossessione è salvaguardare la propria poltrona. La nostra “sinistra” è incartapecorita, chiusa in una presunzione arrogante e autoreferenziale.

 

Quei bluff chiamati programmi elettorali

 

Le due coalizioni in “competizione” stanno dando vita ad una campagna elettorale oscura e contorta. Il governo ha fornito una sequela interminabile di pronostici che anticipavano la tanto agognata “ripresa”, ma non ha preso nessun serio impegno per attuare uno straccio di politica industriale, troppo distratto da problemi di coalizione e dal dilettantismo politico che è sfociato nel localismo più becero generato dal federalismo leghista. Ma non si salva nemmeno il quadro programmatico del centro-sinistra che contiene, come scrive Alberto Alesina sul Sole 24Ore, “284 pagine inutili e fuorvianti, piene di luoghi comuni e senza alcuna scala di priorità”.

 

C’è davvero da sperare che i programmi economici annunciati da entrambi gli schieramenti non vengano affatto messi in pratica: si tace sulla vera condizione della finanza pubblica (che rende impossibili le tante promesse elargite all’elettorato); manca una seria analisi sulla necessità di modificare l'attuale modello di sviluppo, ormai palesemente destinato al fallimento; poche sono le proposte per portare il sistema di welfare sul terreno dei diritti. Il fronte è invece stranamente compatto nel confermare quel federalismo che ha saputo generare solo danni: aumento della spesa pubblica, riduzione delle aliquote delle imposte nazionali compensate con le tasse locali, aumento della burocrazia. Insomma, con queste politiche il Paese non uscirà di certo dalla situazione di declino strutturale.

 

Un appello per il nostro futuro

 

E' giunto il momento di lanciare un progetto concreto per ricostruire il Paese, cominciando dal basso, nelle comunità locali, nei villaggi, nei comuni, nelle province, nelle regioni. è possibile realizzare questo sogno con forme di democrazia diretta e partecipata nel governo locale, con progetti concreti nel sostegno dell'economia (reddito di cittadinanza, monete complementari, etc.), con la tensione ideale per una nuova etica nei rapporti sociali, la riscoperta di valori come la solidarietà e la partecipazione. Dopo anni di rassegnazione, occorre iniziare ad immaginare che un futuro diverso, migliore, è possibile. Partendo proprio dalla politica. Le nuove proposte non siano confinate ai piani culturale e intellettuale ma scaturiscano dalle buone pratiche suggerite dagli attori impegnati nei movimenti della società civile e dell'economia solidale: il mondo della cooperazione, del sindacato, del commercio equo, della finanza etica, dell'informazione alternativa, del software libero, delle associazioni di promozione sociale (gruppi di acquisto solidale, di consumo critico e responsabile)...

 

In questa Italia è riposto il futuro del Paese. Un'Italia vicina alla gente.

 

Ora che il Governo della Repubblica è caduto nel pieno arbitrio di pochi prepotenti… noi altri tutti, nobili e plebei, non fummo che volgo senza considerazione senza autorità, schiavi di coloro cui faremmo paura sol che la Repubblica esistesse davvero.

(Lucio Sergio Catilina)

 

Nicola Furini e Matteo Toniato

 

www.criticamente.it

 

PRIMA PAGINA