CONFLITTO DI INTERESSI


Siamo tutti in libertà limitata. Ricercatori finanziati dall'industria, riviste scientifiche ostaggio della pubblicità, formazione sponsorizzata... Tutta la sanità è a rischio di conflitto di interessi. E chi solleva il problema viene isolato.

 

In generale è il medico che “esprime” la domanda sanitaria, attraverso gli atti ufficiali che sono di esclusiva competenza della sua professione (ricette per farmaci, per ricoveri, per prestazioni specialistiche, ecc.). Alla domanda espressa istituzionalmente dal medico deve però aggiungersi anche la domanda espressa dal paziente, in virtù della capacità di quest’ultimo (sovente nel paziente anziano ridotta o mediata da terzi) di tradurre lo stato di malessere in effettiva ed autonoma richiesta di beni e servizi sanitari. Esiste poi una domanda “inespressa” che il medico non riesce a esplicitare, sia per i limiti oggettivi di conoscenza propri della sua disciplina, sia perché ha una personale nozione del bisogno del proprio assistito, e conseguentemente tende a confrontare la situazione di bisogno del paziente con una situazione ideale o con quella di altri pazienti. E' questa terza domanda quella più a rischio di conflitti di interessi.

L’esistenza di tale relazione medico-paziente pone problemi non indifferenti. Il medico si trova in una posizione particolare che non si riscontra in altri settori: da un lato è portavoce della domanda dei consumatori (pazienti), dall’altra offre egli stesso dei servizi sia in maniera diretta che mediata (visite, consulenze e prestazioni sanitarie), per i quali ha un interesse diretto. La domanda sanitaria dipende dal medico, cui il paziente delega il proprio potere di decisione, ma nonostante la deontologia professionale e la completa buona fede il medico sovente non è in grado di agire nell’esclusivo interesse del suo paziente. Ciò avviene ogni volta che gli individui, in possesso di informazioni rilevanti, abbiano interessi differenti da quelli a cui spettano le decisioni. Può accadere che essi non trasmettano completamente e accuratamente le loro conoscenze, dando luogo all’insorgenza di un conflitto di interessi. Infatti, il conflitto di interessi non è un comportamento, ma è una condizione in cui il medico si può trovare, anche inconsapevolmente.

Noi medici siamo in grado di percepire quanto siamo inconsapevolmente a rischio di incorrere nel conflitto di interessi perdendo di vista l’interesse primario del paziente? Come può essere definito il conflitto di interessi? Secondo autorevoli definizioni, “si può dire che si verifica un conflitto di interessi quando ci si trova in una condizione nella quale il giudizio professionale riguardante un interesse primario (la salute del paziente o la veridicità dei risultati di una ricerca o l’oggettività della presentazione di una informazione) tende a essere influenzato da un interesse secondario (guadagno economico, vantaggio personale)” (New England Journal of Medicine: Understanding financial conflict of interest; 329: 573, 1993).

Questa definizione sottolinea che il conflitto di interessi è una condizione e non un comportamento. Da ciò deriva che anche per decisioni prese “con indipendenza limitata” e metodologicamente corrette (cioè non diverse da quelle che si sarebbero assunte se non si fosse operato sotto un’influenza esterna), si configura il conflitto di interessi. Il conflitto di interessi si misura sull’improprietà e non sul risultato decisionale più o meno viziato. Perché esista un conflitto di interessi è sufficiente che esista un legame in grado di compromettere l’indipendenza del professionista (British Medical Journal: Conflict of interest and Bmj; 308: 4, 1994). Il conflitto di interessi è dannoso per l’immagine del medico, del relatore, dell’associazione scientifica e della rivista; anche il conflitto ininfluente sulle scelte può ridurre la credibilità e l’affidabilità delle valutazioni espresse (Lancet: Disclosing conflicts of interest; 350: 72, 1997).
Da queste definizioni si evince che siamo fortemente a rischio di cadere nella “condizione di conflitto di interessi”, infatti:

1. circa l’80% della ricerca italiana approvato dai comitati etici è sponsorizzato dall’industria farmaceutica;

2. la formazione Ecm e congressuale è, in buona parte, sponsorizzata dall’industria;

3. nelle unità operative, personale laureato e non è assunto con contratti finanziati dall’industria;

4. le riviste scientifiche sopravvivono grazie alla pubblicità dell’industria.

Tutto ciò è apparentemente nobile e magari colma assenze del nostro sistema sanitario, ma analizziamo le criticità dei singoli punti.

1. Molte delle ricerche sponsorizzate sono concepite in sede industriale e affidate o a gruppi cooperativi italiani o a singoli centri. Questa “ricerca” crea solo un impoverimento culturale del ricercatore italiano relegato a “raccoglitore di casistica”. Questo tipo di ricerca è propedeutica al lancio di un prodotto che avverrà dopo qualche anno. Normalmente, queste ricerche si concludono con risultati generalmente positivi che, in futuro, ripagheranno le spese sostenute dall’industria.

2. È intuitivo che molte relazioni sono sponsor-oriented e indirizzate a fini prescrittivi, ma la cosa più grave, e qui si configura il conflitto di interessi, è che spesso i relatori non enfatizzano a sufficienza i dati negativi di quel prodotto o tacciono le alternative terapeutiche (sovente molto meno costose).

3. Bisogna ringraziare l’industria per i grant che permettono ai nostri giovani di avere un salario mensile (soprattutto di questi tempi!). Ma tutto deve restare nei limiti dell’obbligo morale.

4. L’ingerenza dell’industria nelle poche riviste italiane, ma in generale su tutta la stampa scientifica mondiale, è enorme. Non servono dichiarazioni di assenza di conflitti di interessi da parte degli autori che, forse, lasciano il tempo che trovano, perché il conflitto di interesse si consuma tra industria e direzione della rivista. I lavori “sponsorizzati” hanno di solito un canale preferenziale sul tempo della pubblicazione. Ma soprattutto, lavori anche di discreto prestigio che dichiarano risultati clinici negativi non vengono presi in considerazione.

Lo stesso fenomeno si evidenzia anche per gli abstracts inviati ai congressi nazionali o internazionali. Tutto ciò porta a una non completa informazione sui pregi o sulla possibile negatività di un dato prodotto. In sintesi, la condizione di conflitto di interessi crea degli anticorpi verso situazioni di mancata globalizzazione con l’evidente isolamento di coloro che consapevolmente e razionalmente avvertono il problema. È molto esemplificativo come Guido Rossi definisce il conflitto di interessi: «Il conflitto di interessi diventa un elemento cruciale e nello stesso tempo fatale del capitalismo moderno, che da industriale e commerciale diventa finanziario. Il conflitto di interessi è una sorta di male oscuro che mina l’economia mondiale, perché sovverte i meccanismi di autoregolamentazione che avevano fin qui reso possibile il controllo del sistema» (Il conflitto epidemico, Adelphi, Milano 2003).

I medici ovviamente non si sottraggono a questa tendenza che sembra globalizzarsi; ma per l’elevato contenuto etico che caratterizza la nostra professione e per il fatto che ci viene affidato un bene primario come la salute, è necessario che vengano studiate regole di comportamento. In attesa di linee guida “anticonflitto” l’onesta morale e professionale può colmare (forse non del tutto) questo vuoto.

 

Antonio Jirillo
U.O. oncologia medica, Istituto Oncologico Veneto

PRIMA PAGINA