IL DIRITTO ALLA SALUTE

È UN BENE PER LE PERSONE

E UN INVESTIMENTO

PER IL PAESE

 

 

Le proposte dei DS

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le prossime elezioni regionali vedranno al centro della campagna elettorale le proposte in materia di diritto alla salute. I DS considerano la salute un bene primario ed essenziale per promuovere i valori dell’equità e della cittadinanza, e per rilanciare lo sviluppo economico e sociale del paese. Le esperienze realizzate dai governi regionali dell’Ulivo in materia di sanità e di politiche sociali costituiscono un punto di eccellenza della nostra azione di governo, che esprime in modo nitido un’alternativa al centro destra.

Esse, infatti, hanno dimostrato che un sistema pubblico sociale e sanitario improntato sulla qualità è possibile; che la programmazione democratica e partecipata crea condizioni di cambiamento governate con il consenso dei cittadini; che lotta agli sprechi e qualità dei servizi non sono termini fra loro incompatibili, ma fattori essenziali, al contempo, di buon governo e sviluppo di una sanità pubblica moderna e di qualità.

Le regioni governate dall’Ulivo non hanno avuto bisogno di inasprire la pressione fiscale o di imporre ulteriori ticket per tenere sotto controllo la spesa sanitaria, come sono invece state costrette a fare le regioni del centro-destra, incluse il Veneto, la Liguria, la Lombardia e il Piemonte. Questo è stato possibile per le scelte innovative che hanno saputo imprimere ai propri sistemi sanitari, razionalizzando la rete ospedaliera, sviluppando l’assistenza territoriale, che costituisce oggi ben più del 50% della spesa sanitaria totale di queste regioni, investendo in nuove tecnologie diagnostiche, informatizzando l’accesso ai servizi, “burocratizzando” il sistema. Questo è stato possibile grazie alle forti relazioni che sono state sviluppate con gli Enti Locali, che hanno accompagnato con fiducia tali processi di trasformazione, che richiedono sia la adesione convinta degli operatori, sia la partecipazione consapevole delle comunità.

Il processo di innovazione, organizzativo e strutturale, realizzato nell’ultimo decennio dimostra che vi sono tutte le condizioni per garantire universalità, equità e qualità e che il diverso quadro che si riscontra in altre realtà regionali non può essere solo attribuito alla scarsità delle risorse, ma anche, e prevalentemente, a scelte di politica sanitaria orientate da altre priorità e da altri interessi.

 

 

I NOSTRI PRINCIPI E I NOSTRI VALORI

 

L’art. 32 della Costituzione recita: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

Il Servizio Sanitario Nazionale definito nella legge 833/78 e confermato dal D.l.vo229/99, garantisce la tutela della persona umana dall’inizio della sua vita alla morte naturale e la promozione della salute di tutti i cittadini secondo principi di universalità, equità e solidarietà.

Efficacia, appropriatezza, accessibilità e continuità dell’assistenza sono le garanzie che il S.S.N. deve assicurare a tutte le persone indipendentemente dalle loro condizioni sociali ed economiche.

Se si vuole garantire la salute come diritto di ogni persona e si considera la salute come bene comune, va innalzata la quota del PIL nazionale destinata alla sanità, che oggi è al di sotto della media europea.

Per noi, infatti, investire nella sanità e nel welfare significa investire nella promozione dell’individuo, nella sua salute, della salute, nello sviluppo sociale ed economico, nel benessere e nella innovazione del paese.

Oggi il Servizio Sanitario Nazionale, in tutte le sue componenti (pubblico, privato e privato sociale) è fortemente compromesso dalle politiche di definanziamento del governo nazionale di centro-destra che tende a rappresentare il sistema sanitario pubblico come un comparto colpevole di sperperare risorse e non come il garante della salute, ovvero di uno dei principali beni individuali e collettivi (insieme all’istruzione, alla cultura e all’ambiente) in grado di promuovere insieme la qualità della vita e lo sviluppo socio-economico del Paese.

È solo all’interno di una opzione politica centrata sui diritti della persona e sull’analisi dei bisogni, nonché dei dati epidemiologici in rapporto ai dati demografici e sociali, che si possono orientare e qualificare le risorse, costruire l’offerta di servizi per la promozione della salute, ridurre gli sprechi e le inefficienze e puntare alla responsabilità e alla qualità nella gestione delle risorse umane ed economiche.

La politica dei tagli indiscriminati alle risorse materiali e il blocco delle risorse per gli investimenti nella rete sanitaria e per l’innovazione tecnologica ha di fatto – in gran parte del paese, ma soprattutto al Sud – paralizzato l’attività e ridotto i servizi erogati dal servizio pubblico con un aumento dei costi per i cittadini, che spesso sono dovuti ricorrere a prestazioni a proprie spese.

La libertà di scelta dei cittadini si può esercitare solo in presenza di un più forte, accessibile e qualificato servizio sanitario nazionale orientato a rispondere, prima di tutto, agli effettivi bisogni di salute.

La professionalità, la responsabilità e l’autonomia di chi opera nel SSN sono condizione e garanzia perché il sistema ritrovi, superando un esasperato economicismo, la sua missione per il raggiungimento degli obiettivi di salute. La politica del blocco delle assunzioni e la crescente precarizzazione dei medici e degli altri operatori sanitari, insieme al ricorso esasperato e spesso immotivato alla esternalizzazione dei servizi, operata dal centro-destra, ha potenziato e mortificato la principale risorsa del sistema sanitario.

Oggi la domanda di salute si presenta sempre più intrecciata a forti bisogni sociali e la risposta non può che essere integrata prima di tutto a livello territoriale, in ambito distrettuale, in stretto rapporto con i Comuni e i Municipi, sollecitando anche tutte le potenzialità dell’associazionismo e del volontariato e coinvolgendo i cittadini e le loro associazioni nelle scelte che riguardano la salute.

In questo contesto va valorizzato il ruolo che le famiglie assolvono nella educazione alla salute e nell’assistenza ai suoi componenti. Per questo va riconosciuto il loro diritto a essere ascoltate, coinvolte e sostenute dal SSN e dalle politiche sociali degli enti locali.

La sanità che vogliamo cura in modo appropriato e si prende cura della persona, la accompagna e la sostiene rispettandone diritti e dignità.

 

 

LE NOSTRE PRIORITÀ

 

1) Un federalismo solidale

Il Servizio Sanitario Nazionale pubblico universalistico nell’ambito di un federalismo solidale deve, innanzitutto, essere in grado di garantire i livelli essenziali di assistenza in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Questo è tanto più necessario a fronte dei dati epidemiologici che sottolineano come, rispetto a un aumento della speranza di vita e a un miglioramento delle condizioni di vita, aumentano le disuguaglianze nella salute.

La disuguaglianza più grande che attraversa il nostro paese è quella che separa il Centro-Nord dal Mezzogiorno. Promuovere l’autosufficienza del Mezzogiorno è dunque la priorità di un federalismo solidale.

È allora necessario dare attuazione all’articolo 119 della Costituzione, definendo finalmente un sistema equo e solidale per il finanziamento delle nuove competenze regionali, e quindi anche, e principalmente, della sanità. Federalismo solidale significa confermare un finanziamento del sistema attraverso la fiscalità generale con la previsione di un fondo perequativo di tipo verticale.

Il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza è compito della fiscalità generale e dunque del Servizio Sanitario Nazionale.

L’autonomia impositiva regionale serve a migliorare la qualità dei servizi e delle prestazioni. L’autonomia impositiva è integrativa della fiscalità generale che finanzia i livelli. Un esempio di federalismo solidale è rappresentato dalla legge D’Alema, ora all’esame della Commissione Affari Sociali della Camera, che istituisce un Fondo per interventi per la sanità nel Mezzogiorno in applicazione dell’art. 119 della Costituzione.

Tale proposta prevede, nell’ambito di una politica di rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, l’esecuzione di un programma straordinario decennale di interventi per l’implementazione  dei servizi territoriali per la prevenzione e le cure primarie, per la ristrutturazione edilizia, per l’ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario e per la promozione dell’eccellenza e dell’alta specializzazione, nonché la formazione e la qualificazione del personale sanitario e della ricerca biomedica. Le risorse sono vincolate alla promozione ed al sostegno delle capacità progettuali delle regioni interessate nonché alla innovazione ed alla qualità dei progetti.

Una cabina di regia istituita presso il Ministero della salute e composta da rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze, dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica, della Conferenza unificata e da esperti della pubblica amministrazione, del mondo accademico e scientifico costituisce un efficace coordinamento degli interventi in materia di sanità nelle regioni meridionali al fine di valutare e unificare la realizzazione dei progetti, monitorandone i risultati sul territorio e nel tempo.

Le risorse del Fondo sono stanziate ogni anno dalla legge finanziaria per una quota di 2 miliardi di euro e per la restante parte con operazioni di mutuo, a carico dei bilanci regionali, che le regioni interessate sono autorizzate ad effettuare con la Banca Europea per gli investimenti. Ulteriori risorse, fino ad una quota del 40% dei fondi disponibili, sono disposte dall’INAIL per l’acquisto e la realizzazione di strutture sanitarie dislocate nelle regioni meridionali, sulla base della legge n. 549 del 1995.

Infatti l’INAIL, come tutti i gestori di forme di previdenza e di assistenza sociale, è tenuta a destinare una percentuale dei fondi disponibili per investimenti immobiliari dei settori della sanità, della pubblica utilità e dell’edilizia universitaria.

Un’iniziativa importante per promuovere il federalismo solidale può essere rappresentata dallo sviluppo di forme di cooperazione e di partnerariato con i centri di eccellenza e dalla promozione di gemellaggi tra regioni, aziende sanitarie locali, università del Centro-Nord e del Mezzogiorno.

 

2) La presa in carico e la continuità dell’assistenza

La continuità dell’assistenza costituisce una vera e propria “riforma dal basso” del sistema. La continuità dell’assistenza garantisce una reale presa in carico del cittadino. Essa non è né una riposta tecnica, né un livello essenziale di assistenza: è il grande cambiamento che deve realizzare l’assistenza sanitaria del Paese per rendere effettivo il diritto alla salute.

La continuità dell’assistenza:

-         mette al centro del sistema il cittadino e non la prestazione; mette al centro un bisogno di salute che non può essere parcellizzato e un diritto alla salute che è tale solo se sa offrire un percorso che unisce prevenzione, cura e riabilitazione;

-         mette al centro del sistema la globalità della persona e non solo il suo corpo malato;

-         mette al centro del sistema la relazione di fiducia tra il medico e il paziente.

La continuità dell’assistenza è una nuova forma di tutela e presuppone un nuovo contratto sociale. Essa costituisce (e presuppone) il concreto rovesciamento della piramide: dall’ospedale al territorio. E chiarisce che la medicina territoriale è la capacità di essere vicini alla dimora della persona; è l’attivazione di percorsi personalizzati in cui prevenzione, cura e riabilitazione costituiscono un unicum; è la capacità di attivare tutte le risorse umane e sociali e i mondi vitali in cui le persone vivono ed entrano in relazione, affinché vivano meglio.

Per continuità dell’assistenza si intende l’integrazione nel tempo e nello spazio delle risposte sanitarie, assistenziali e di reinserimento nella famiglia, nelle attività sociali, civili e produttive, necessarie a un cittadino in condizioni determinate di bisogno.

La continuità dell’assistenza consiste nella erogazione di pacchetti di prestazioni comprese in percorsi terapeutici di cura e di assistenza socioassistenziale predeterminati che garantiscano continuità dell’assistenza terapeutica e socioassistenziale con prestazioni di elevata appropriatezza e aiutino nella maggiore misura possibile date le condizioni dell’utente, il reinserimento. Essa comprende dunque, nei casi di riscontrata necessità, anche il sostegno economico ai fini del  reinserimento sociale.

I percorsi di assistenza e di continuità dell’assistenza sono rivolti ai cittadini che abbiano necessità di percorsi terapeutici integrati e di reti di assistenza sanitaria, in condizione di emergenza, di acuzie, di postacuzie e di riabilitazione; ai cittadini la cui patologia richieda lunghi percorsi di cura e assistenza socioassistenziale, con interventi differenti quanto a tipologia, tempo e luogo, da programmare e coordinare tra loro, ai disabili  non ricoverati, alle persone in stato di accertata impossibilità di guarigione per i quali la continuità dell’assistenza deve garantire una accettabile qualità della vita; alle persone bisognose di sostegno ai fini di un adeguato reinserimento e a tutti coloro che devono essere coinvolti in programmi di prevenzione secondaria.

La continuità dell’assistenza presuppone che ogni persona sia seguita da un operatore responsabile della sua presa in carico, che consenta un rapporto personalizzato e flessibile con il sistema delle prestazioni e dei servizi sanitari e sociali. Questo operatore dovrebbe coincidere con il medico di famiglia, supportato dall’insieme delle attività distrettuali.

L’affermazione del diritto alla continuità dell’assistenza come una delle modalità di funzionamento del sistema sanitario, risponde ad una esigenza fondamentale dei cittadini utenti e rappresenta la maggiore domanda inevasa dall’attuale funzionamento e organizzazione del sistema sanitario nazionale.

La continuità dell’assistenza ha l’ambizione di rispondere al bisogno di presa in carico crescente tra i cittadini e oggi sostanzialmente inevasa, al punto tale da vanificare a volte le risposte tradizionali del sistema sanitario.

Se la sanità salva la vita, ma non riesce ad aiutare a vivere, rischia di mancare al suo mandato costituzionale di creazione di pari opportunità nella tutela della salute.

La continuità dell’assistenza e la presa in carico possono rappresentare gli strumenti per rispondere a bisogni di salute oggi misconosciuti, per avere un sistema più flessibile, vicino e più facilmente “utilizzabile” dai cittadini e per cambiare e rendere più efficace l’intero sistema sanitario.

La definizione di questo nuovo patto non si limita a rafforzare la sanità territoriale, o a valorizzare la medicina di base o il sistema delle cure primarie, ma rappresenta anche una sfida e un processo di trasformazione e di adeguamento di tutti i settori del sistema sanitario, da quello degli acuti, alla riabilitazione, all’integrazione sociosanitaria, alla prevenzione secondaria.

Infine, la continuità dell’assistenza, caratterizzandosi come un progetto di riforma radicale intorno a cui sarà probabilmente necessario ridisegnare assetti istituzionali e modalità di funzionamento del sistema, e per sorvegliare il quale sarà necessaria una grande attività di valutazione e una grande capacità di orientamento strategico e di governo, richiederà investimenti rilevanti sia in termini economici che intellettuali e amministrativi.

La scelta della continuità dell’assistenza inoltre porta con sé alcuni “corollari” di non poco conto, anche per quanto riguarda le scelte di organizzazione dei servizi e delle aziende sanitarie:

- spendere meglio in sanità significa spendere di più, cioè fare nuovi investimenti non solo sull’aumento dell’offerta ma sul cambiamento dell’offerta stessa. Questi investimenti saranno in grado di far aumentare l’efficacia dell’offerta sanitaria e, nel medio periodo, di avviare percorsi virtuosi, che senza riduzione dei servizi, potranno accrescere anche l’efficienza della spesa sanitaria;

- affrontare la questione che gli operatori del sistema siano remunerati non per la fornitura di singole prestazioni, ma per la creazione e la realizzazione di percorsi di cura, consente di salvaguardare il valore del merito e delle competenze, remunerarle anche dal punto di vista delle capacità produttive, di raggiungere obiettivi salute e, contemporaneamente, superare alcune delle contraddizioni più stridenti nell’uso dei DRG, che costringono a una “medicina difensiva”;

- il superamento della “aziendalizzazione dirigistica” in cui il maggiore o minore esborso di risorse rischia di diventare sempre più l’unico metro di valutazione della professionalità. Bisogna apertamente schierarsi contro le burocrazie paralizzatrici ed inefficienti, e proporre al personale sanitario un’alleanza basata sulla valorizzazione del ruolo professionale, dando più potere e maggiori responsabilità ai dirigenti sanitari per governare i percorsi di cura e gli obiettivi salute da raggiungere;

- la creazione di nuove figure professionali in grado di mettere in relazione le competenze specialistiche tra di loro e con i cittadini;

- la possibilità di concentrare sulla dimensione non di ricovero, sulla medicina territoriale e di prossimità anche risorse materiali ed umane oggi impegnate solo sulle attività di ricovero o di rogazione di prestazioni specialistiche, può accrescere le risorse a disposizione della integrazione sociosanitaria;

- la personalizzazione dell’assistenza, attraverso la presa in carico, contribuendo ad attenuare il difetto di spersonalizzazione burocratica che isola gli utenti e mortifica la professionalità degli operatori;

- la possibilità di integrare gli “specialismi” che hanno assicurato lo sviluppo delle discipline sanitarie e rimangono l’unica possibilità concreta di rimanere al passo con gli sviluppi esponenziali delle conoscenze con la ricostruzione, anche per gli “specialisti” di una visione complessiva del percorso assistenziale del paziente e della storia della sua malattia con l a nascita di una nuova “competenza specialistica” che si fondi sulla capacità di mettere in relazione diversi saperi.

La chiave di volta per costruire il percorso della continuità dell’assistenza sta nello sviluppo della medicina delle cure primarie (MCP) quale un  vero livello del SSN, articolato, organizzato e finanziato  alla stregua del livello ospedaliero.

Una MCP capace di assistere 24 ore su 24 il cittadino, di affrontare nell’ambito e con il supporto del distretto la grandissima maggioranza delle patologie e di seguire e sostenere il cittadino nel suo passaggio in strutture di degenza per poi riaccoglierlo nel territorio avvalendosi  di una rete di servizi.

 

3) La medicina delle cure primarie (MCP)

Nelle proposte che dobbiamo definire in tutte le regioni  lo sviluppo e l’organizzazione della medicina delle cure primarie, con il pieno coinvolgimento dei medici,  deve essere al primo posto quale strumento, ben visibile e comprensibile da parte dei cittadini di un sistema che cambia, non nell’apparenza  ma nella sostanza, il modo di accogliere, ascoltare e rispondere ai problemi, a partire da queste prime semplici condizioni:

  1. garantire che l’assistenza, anche fornita da professionisti diversi, sia coordinata sotto la responsabilità e la supervisione del medico di fiducia , risponda ad un unico e soddisfacente standard qualitativo e rappresenti la base della “presa in carico“ del cittadino-paziente;
  2. soddisfare nel territorio la maggior parte delle richieste di assistenza ed evitare il ricorso improprio a strutture di secondo livello (pronto soccorso, ricovero ospedaliero, ecc.);
  3. creare le condizioni necessarie a fornire assistenza sanitaria più complessa ed articolata al domicilio del malato, che non richieda la continua presenza di tecnologie e competenze specialistiche avanzate.

La possibilità di aggredire le correnti modalità di accesso al SSN, che penalizzano i più deboli, i più poveri, i meno acculturati, gli anziani  passa attraverso la responsabilizzazione della MCP nella continuità dell’assistenza e quindi nella organizzata disponibilità alla presa in carico.

Il sistema delle cure primarie richiede la valorizzazione e la piena responsabilizzazione della figura del medico di famiglia che deve diventare il vero e proprio “tutor” del cittadino.

Il medico di famiglia deve sempre più qualificarsi come un professionista costantemente aggiornato, con competenze significative nell’area socio-sanitaria, in grado di effettuare diagnosi [strutturate] in coordinamento con lo specialista, e di porsi come filo conduttore dell’intero percorso terapeutico dell’assistito, deve avere voce in capitolo nelle scelte relative al governo del sistema.

 

4) Le liste di attesa

La stessa complessa problematica delle liste di attesa, per ridurre le quali è già possibile oggi sperimentare procedure innovative, che tengano conto della reale urgenza del bisogno, troverebbe soluzioni efficaci nella responsabilizzazione della MCP sul versante dell’appropriatezza  dei tempi, dei luoghi, dei percorsi.

 

Le lunghe attese necessarie per poter usufruire di prestazioni del SSN comportano:

  1. la negazione di un diritto, al quale il cittadino spesso è costretto a sopperire a proprie spese procurandosi la prestazione nel privato;
  2. danni permanenti alla salute dei cittadini in particolare dei soggetti più deboli quali gli anziani (si pensi solo a quanto possono cambiare definitivamente l’autosufficienza di un anziano la lunga attesa  – anni –  per la correzione di una cataratta che gli impedisce di leggere o per un intervento di protesi d’anca per un’artrosi che limita le sue capacità di spostamento autonomo);
  3. un elemento che riduce fortemente la qualità percepita del SSN da parte del cittadino, fino a fargli sottovalutare l’importante tutela della salute che comunque gli è garantita;
  4. la difficoltà del medico a seguire un iter diagnostico correttamente articolato in sequenze appropriate di indagini e lo costringe, nell’interesse del paziente,  a richiedere da subito e contemporaneamente indagini che altrimenti avrebbe richiesto solo se in tal senso orientato da precedenti indagini.

 

 

Le cause di questo fenomeno possono essere infatti ricercate:

- in difetti di organizzazione delle strutture erogatrici, ad esempio è sicuramente possibile migliorando il funzionamento dei sistemi di prenotazione regionale, inserendo fra le strutture erogatrici anche quelle classificate e quelle accreditate disponibili, favorendo le prenotazioni delle visite specialistiche e della diagnostica direttamente dallo studio del medico di famiglia o dalle farmacie pubbliche e private, dotando il sistema di prenotazione di una anagrafe dei cittadini esenti, snellendo le attuali procedure burocratiche che consentono irregolarità e abusi;

-  in un’offerta quantitativamente inadeguata, come avviene per alcune prestazioni specialistiche non soggette a possibili abusi e inappropriatezza. Emblematico è il caso della radioterapia. Molti cittadini rischiano la vita per una insufficiente disponibilità di radioterapia, che come tutti capiscono non può attendere i tempi della disorganizzazione di molte regioni.

-  in un eccesso di richiesta impropria in parte determinata ed autoalimentata proprio dai lunghi tempi di attesa, come le prenotazioni multiple che vanno contrastate con strumenti informatici  e con il pieno funzionamento dei sistemi di prenotazione, la ripetizione frequente di prestazioni senza validi motivi, la duplicazione di indagini diagnostiche in rapporto alla degenza ospedaliera, l’accesso inappropriato, spesso generalizzato, a diagnostica di alto livello e costo per problematiche che non lo necessitano.

 

La soluzione dei problemi delle liste di attesa fondate esclusivamente sul potenziamento dell’offerta di prestazioni non solo non è concretamente sostenibile per la nota limitazione delle risorse ma rischia di depauperare altri servizi e deve pertanto essere ricercata in meccanismi organizzativi di perseguimento dell’appropriatezza, almeno in termini di priorità.

Va potenziato innanzitutto l’utilizzo pieno delle strumentazioni e delle dotazioni tecnologiche dei presidi sanitari pubblici, spesso sottoutilizzate per il mancato turn over del personale, nonché per problemi di gestione e manutenzione.

Vanno individuate specifiche priorità sulle quali investire da subito come ad esempio la radioterapia oncologica, l’oculistica  ecc. con il chiaro obiettivo di raggiungere un equilibrio fra domanda e offerta entro la legislatura anche indirizzando lo sviluppo delle strutture private accreditate.

Vanno previste corsie preferenziali di accesso alle visite diagnostiche a disposizione dei Medici di famiglia,nei casi giudicati da loro prioritari.

 

 

5) Mettere la sanità in rete per far camminare le informazioni e non i cittadini 

Per ridurre i tempi di attesa e garantire accesso ai servizi proponiamo un grande programma di informatizzazione del sistema sanitario che a partire dagli studi dei medici di famiglia colleghi tutte le strutture e i presidi. Questo permetterà progressivamente:

  1.  la prenotazione diretta dallo studio del medico di famiglia delle  prime visite  e delle   prestazioni successive (accertamenti diagnostici, visite di controllo  etc);
  2.  la comunicazione, da parte del medico proponente, ai presidi della ASL di  quali    sono le prestazioni urgenti (immediate!) e le prestazioni  urgenti differibili (entro 3 giorni);
  3. la velocizzazione della consegna delle cartelle cliniche e dei referti relativi agli esami strumentali che, salvo esami particolarmente complessi, deve avvenire entro 3 giorni lavorativi dalla data di effettuazione;
  4. l’utilizzo di bancomat o carte di credito per il pagamento di ticket o quote di compartecipazione;
  5. l’adozione in tempi brevi di una carta informatizzata per tutti i cittadini, che fornisca a tutti i servizi del sistema sanitario informazioni preziose per un intervento appropriato e efficace;
  6. la possibilità di una effettiva continuità dell’assistenza nelle 24 ore con la messa a disposizione di tutti i soggetti deputati: medici di medicina generale, guardia medica, 118, altri professionisti di un profilo per singolo assistito (garantendo la necessaria privacy) per interventi compatibili e appropriati col quadro clinico  individuale.

Prima tappa di questo processo deve essere la generalizzazione di Centri Unici di Prenotazione telefonica, integrati a livello regionale, per impedire, da subito che il cittadino cerchi a caso fra i presidi sanitari quello che può rispondere tempestivamente e la generalizzazione di un profilo individuale per ogni utente custodito a cura del responsabile della presa in carico.

È in questo rinnovato contesto che è possibile combattere procedure  burocratiche, inutili sia al fine di contenere i costi che di garantire la trasparenza, vissute dai cittadini come una incomprensibile vessazione di uno  Stato  invadente e vessatorio.

 

6) Promuovere una nuova stagione di politiche per la prevenzione

La prevenzione primaria (controllo e riduzione della esposizione a fattori di rischio) è in maggioranza una funzione che svolgono altri sistemi e soggetti istituzionali e sociali. Al SSN compete tuttavia un forte ruolo di individuazione e valutazione dei fattori di rischio, di advocacy, di valutazione dell’effetto dei programmi di prevenzione. Occorre rafforzare le capacità del SSN di individuazione e valutazione dei fattori di rischio, in piena indipendenza nei confronti di amministrazioni pubbliche locali, regionali e nazionali, soprattutto in campo ambientale ed occupazionale.

Quanto alla prevenzione secondaria, soprattutto per quanto riguarda la diagnosi precoce e i programmi di screening, il SSN deve adottare criteri rigorosi di valutazione dell’efficacia e garantire ai cittadini i programmi la cui efficacia è stata verificata.

Queste politiche rappresentano il principale intervento in grado di ridurre l’incidenza delle grandi patologie (tumori, malattie cardiovascolari, malattie infettive etc.) che colpiscono milioni di persone. Ad oggi la spesa per la prevenzione è al di sotto del 5% del fondo sanitario nazionale e  va rapidamente  portata almeno al 10%.

Ma è soprattutto la cultura che deve cambiare e far uscire dalla attenzione e dalla responsabilità del campo ristretto degli addetti ai lavori questo momento decisivo dell’intervento di un sistema sanitario pubblico.

 

7) Istituzione di un sistema di protezione sociale e di cura per le persone anziane non autosufficenti

L’invecchiamento della popolazione aumenta il rischio di vivere molti anni della vita  in condizioni di non autosufficienza. Vivere più a lungo deve poter significare vivere meglio. Per questo, obiettivo primario delle politiche sanitarie e sociali deve essere quello di prevenire, rallentare, prendere in carico la condizione di non autosufficienza.

Risiede qui un’innovazione importante dei sistemi di welfare che rappresenta una sfida, in modo particolare, per il sistema sanitario pubblico, universalistico e solidale.

Per questo, fin dall’inizio della legislatura ci siamo impegnati per l’approvazione dei un disegno di legge che contenga interventi a favore delle persone anziane non autosufficienti. È importante che la Commissione Affari sociali della Camera, relatrice Katia Zanotti, sia pervenuta alla definizione di un testo unificato. Ed è gravissimo che, il 30 novembre scorso, nel corso di un’audizione alla Commissione Affari sociali della Camera, il ministro Siniscalco abbia dichiarato: “In una situazione di finanza pubblica in cui il disavanzo è vicino al 3%, in cui il governo ha un programma con altre priorità…. ho ritenuto di fare qualcosa alla portata dei vincoli di bilancio”.

Si tratta dello stanziamento per il 2005 di 1820 euro di deduzione fiscale per le famiglie che hanno assunto una badante e che hanno un reddito fino ad 88.000 euro.

Questa scelta, oltre a configurarsi come misura propagandistica per l’esiguità delle risorse stanziate, non affronta il nodo strutturale, il problema dei rischi connessi all’invecchiamento. Costituisce, inoltre, la strada della solitudine del bisogno e della privatizzazione della risposta.

La nostra proposta si pone l’obiettivo di:

a)     aumentare in misura consistente il numero delle persone non autosufficienti che possono beneficiare delle prestazioni assistenziali fino a pervenire a un universalismo vero;

b)    potenziare e variare le opportunità di assistenza a domicilio sul territorio, superando la frammentarietà ed i forti squilibri territoriali che sinora hanno contraddistinto la rete dei servizi esistenti, quanto l’offerta di sostegno economico;

c)     rafforzare i diritti soggettivi delle persone non autosufficienti rendendo esigibile il diritto alla prestazione.

Per raggiungere tali obiettivi, oltre alla piena applicazione della legge 328/2000 sulle politiche sociali, è necessario istituire un Fondo nazionale a sostegno delle persone non autosufficienti che, come indica il testo di legge approvato a larga maggioranza dalla Commissione Affari Sociali della Camera, può essere finanziata da una imposta addizionale sui redditi delle persone fisiche e giuridiche, graduata in relazione ai diversi scaglioni di reddito e con la previsione dell’esenzione dall’imposizione per i redditi medio bassi.

 

8) Un ritorno: gli enti locali sponsor dei cittadini

L’ente locale, a partire dal comune, deve diventare “sponsor” del diritto alla salute dei cittadini.

La gestione della sanità si presenta spesso, agli occhi dei cittadini, come un sistema affetto da  deficit di trasparenza: il processo di aziendalizzazione non è sempre e solamente una giusta ricerca di efficienza nella gestione di risorse scarse e preziose, ma viene letto troppo spesso come la centralizzazione burocratica di decisioni essenziali per la collettività e che alla collettività appartengono.

 La Conferenza dei Sindaci appare di fatto ridotta ad un  rituale di amministratori privi di potere reale di incidere sulle scelte, stretti tra il potere monocratico del Direttore Generale ed un centralismo regionale che, lungi dal limitarsi agli atti di indirizzo, programmazione e controllo, decide di fatto le sorti di ospedali, specialità, apicalità. La stessa area dei servizi ad alta componente sociale, che pur dovrebbe vedere una forte ed incisiva volontà degli amministratori locali, si scontra con criteri e programmi regionali, da un lato, e con le risorse decrescenti della finanza locale.

Oggi dobbiamo probabilmente dirci che il giusto tentativo di metter fuori  la politica clientelare dalla gestione della sanità ha partorito un effetto indesiderato ed indesiderabile: la estromissione dei cittadini dalle stanze del potere. Oggi va riproposta la questione della centralità della politica come luogo di visione strategica della organizzazione sociale, capace di leggere ed interpretare i bisogni della gente e tradurli in progetto politico.

L’ordinamento non prevede alcuna prerogativa significativa per i Sindaci nel governo della Sanità, tuttavia neanche le esclude. Fare Azienda significa anche cercare strade nuove di creazione del consenso e della condivisione sociale: ben può la Direzione Generale della Ulss autolimitare il proprio potere ponendo in discussione, reale e non formale, nella Conferenza dei Sindaci tutti gli atti rilevanti per l’interesse della gente, vincolandosi politicamente alla comunità locale.

La Conferenza dei Sindaci potrebbe individuare le materie e gli oggetti che devono formare oggetto di consultazione, al di là dei vincoli di legge; alle Direzioni Generali delle Ulss dobbiamo chiedere rispetto delle volontà politiche espresse dai Sindaci.

La partecipazione dei comuni alla programmazione regionale, quindi, è indispensabile  perché nella fase attuativa locale essi diventino interlocutori con pieni poteri nei confronti dell’azienda.

Sulla qualità, la quantità, la dislocazione nel territorio delle strutture erogatrici delle prestazioni il comune, il municipio devono possedere un vero e proprio potere contrattuale nei confronti della azienda sanitaria  senza prevaricazioni ma anche senza sudditanze; e il cittadino deve sapere che  chi ha eletto tutela i suoi diritti collettivi anche sul versante del diritto alla salute .

La libertà di scelta del cittadino, infatti, si esercita se sono previsti livelli adeguati di strutture e di servizi, se il sistema è attrezzato a rispondere a partire non dalle proprie convenienze ma delle esigenze degli utenti: l’ente locale, in rapporto con le rappresentanze organizzate dei cittadini deve essere il vigile interlocutore dell’azienda dialettizzando  e componendo diverse esigenze, senza che sia penalizzato l’utente.

 

9) Il governo clinico: non una concessione alle lobbies ma una risorsa per il sistema

Se l’ente locale deve divenire parte attiva e codeterminante per le politiche del territorio  dell’azienda, i medici e i professionisti sanitari devono recuperare un ruolo forte nel governo clinico dell’ospedale e della ASL .

In questo contesto le proposte del governo sono inefficaci e contraddittorie. In un disegno di legge i DS hanno avanzato proposte per la valorizzazione del governo clinico:

·        Rafforzamento del ruolo dei medici e dei professionisti sanitari,  attraverso:

1.       un nuovo collegio di direzione (in parte elettivo) dell’azienda che fornisca pareri obbligatori sulle scelte significative di politica sanitaria aziendale;

2.     il rilancio dei consigli dei sanitari e dei comitati di dipartimento quali sedi democratiche di coinvolgimento di tutti gli operatori, nel governo clinico dell’azienda;

3.     attribuzione di autonomia gestionale, finanziaria e operativa dei dipartimenti, per valorizzare professionalità e responsabilità dei dirigenti medici e sanitari.

 

Allo stesso modo la partecipazione alle scelte aziendali e distrettuali deve essere estesa ai medici delle cure primarie sviluppando autonomia e responsabilità in rapporto agli obiettivi condivisi sul versante della qualità e della appropriatezza e della economicità.

Una riflessione importante va fatta sulle professioni sanitarie che, nonostante i passi avanti fatti nella passata legislatura, non vedono una traduzione concreta diffusa del riconoscimento delle peculiarità professionali anche in rapporto all’adozione di strumenti organizzativi coerenti.

Non si tratta, quindi, di limitare il potere dei DG ma di estendere alla componente medica e, in diverso modo alle professioni sanitarie, quei principi di autonomia e responsabilità che le ricollocano in una funzione non subalterna e marginale nell’ospedale e nell’azienda.

 

10) Poteri e responsabilità in equilibrio per un nuovo SSN

Per un buon governo della sanità bisogna attivare una governance basata sull’equilibrio fra Stato e regioni, fra ospedale e medicina delle cure primarie, fra azienda, enti locali e componente medica e sanitaria. Una alleanza tra diversi soggetti sulla base dei principi di autonomia e responsabilità.

Non esistono scorciatoie, l’orchestra suona una buona musica se gli strumenti sono accordati, se sanno suonare insieme e se il direttore  dirige  con intelligenza  pensando prima di tutto a chi ascolta in sala.

Il centro destra  sta mettendo a repentaglio tutto ciò, con politiche dal respiro corto, senza   strategia e senza principi ispiratori che non siano quelli di rimettere la salute a disposizione del mercato: sta a noi convincere i cittadini della bontà della nostra visione e delle nostre proposte  con la semplice avvertenza che le nostre scelte devono produrre mutamenti reali e ben percepibili  nel prodotto finale.

Che tutto cambi perché nulla cambi troppe volte sembra essere stato scritto per la sanità italiana.

 

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