LENINISMO (O ALTRO) IN SALSA LEGHISTA

 

In un periodo nel quale della cosiddetta –usando ancora una volta un termine inglese- “privacy” se ne fanno un baffo un po’ tutti, in modo particolare i tanti cosiddetti vip che non vedono l‘ora di essere immortalati –avvertendo addirittura i reporter- in atteggiamenti equivoci tali meritare un posticino all’interno di un giornale o di una televisione purchessia, e i tanti signor nessuno talmente ansiosi di vedere violata la propria intimità da tentare di esibirla sulla pubblica piazza, nemmeno un cane ha fatto mostra di accorgersi della strana “privacy” che ha invece colpito il senatore Bossi.

Certamente nessuno vuole speculare sulla malattia da cui è affetto, ma è pur vero che in questi mesi si è verificato uno stillicidio di notizie che hanno cercato di rassicurare il cosiddetto “popolo leghista” e di dimostrare che il senatore non solo è vivo e vegeto, buon per lui, ma anche in grado di dettare l’altrettanto cosiddetta “linea”.

Così, nei mesi scorsi, sono state pubblicate sui giornali dichiarazioni –compresa quella francamente di cattivo gusto sulla sanità che costa troppo e “o si trova un sistema per ridurre le spese o va tutto a rotoli” -, interviste a volte corredate da qualche fotografia in cui è raffigurato un dimagrito Bossi con in mano il telefonino o in atteggiamento discorsivo, articoli chiaramente ispirati dalla cerchia del senatore, un paio di sortite alla radio leghista in cui si sente una voce parlare brevemente con fatica e, nell’ultimissimo periodo, battagliere dichiarazioni sfornate durante le riunioni della Lega delle quali, per motivi che nessuno si domanda, non esiste traccia documentata.  

Nonostante l’Italia o la Padania abbondino di reporter valenti, spregiudicati (?) e coraggiosi (?) quando si tratta di beccare Vieri o qualche altro alle prese con l’ennesima ragazza, desiderosi peraltro di esserlo (beccati), non esiste a tutt’oggi niente –fatte salve riprese da lontano che filmano un’auto con autista, accanto al quale siede un Bossi annichilito- che riprenda il senatore mentre rilascia un’intervista televisiva o presiede una riunione o beve l’aperitivo con gli amici al bar.

Questi episodi fanno riemergere ricordi di singolari episodi come quelli del compagno Lenin, il quale nonostante la tremenda paralisi che lo aveva colpito, doveva risultare agli occhi dei sovietici vispo come un grillo, o del compagno Breznev nell’ultimo periodo della sua vita quando assisteva (per modo di dire) alla parata del 17 ottobre talmente immobile da apparire mummificato o del camerata Franco tenuto in vita vegetativa da macchinari fino a quando fu trovato l’accordo per la successione.

In quelle occasioni si sprecavano da parte dei bravi giornalisti le critiche e i sarcasmi su quanto era possibile accadesse in un regime dittatoriale.

Ora stranamente i regimi sono caduti, i mezzi di comunicazione si sono moltiplicati per qualità e quantità, ma tutto questo non rende possibile chissà perché una informazione seria su un protagonista della vita politica italiana.

Certo, non vale il ragionamento della malattia. Il senatore che fa proclami a tutte le latitudini, non può domandare ai media una riservatezza che lui per primo non esercita.

In una pubblicità furba e parecchio diffusa, Gandhi parla a persone di tutto e in tutto il mondo che ascoltano attraverso gli odierni strumenti di comunicazione (internet, cellulari, radio, ecc.).

E’ una (giusta) esaltazione del progresso scientifico e industriale, ma nell’Italia libera e democratica dei tempi di Bossi –non nell’Urs di Lenin e Stalin e nella Spagna di Franco-, conta, come sempre, la volontà degli uomini che, in questo caso, è quella di sottoporsi a una vergognosa censura preventiva, con buona pace per la libertà e obiettività dell’informazione.

 

Roberto Buttura

 

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