NUOVI TRAGUARDI PER LA PREVENZIONE

 

Oscurata dalla risonanza che ogni notizia riferita all’ospedale porta con sé perché lì ogni avvenimento è più immediato e drammatico, la prevenzione si trova apparentemente confinata ad un ruolo di cenerentola difficile da sopportare.

Forse qualche luogo comune distribuito a piene mani in questi anni ha contribuito a creare specialmente nel personale frustrazioni e disillusioni. Una più gettonate tra le frasi sciocche è stata: bisogna spostare risorse dall’ospedale al territorio.

Naturalmente chi ha osservato che le cose non vanno viste e ragionate in modo così semplicistico è stato o è automaticamente iscritto, come va di moda dire oggi, al partito dei conservatori se non dei reazionari.

Su un tema così importante ma a volte trattato in modo superficiale serve una riflessione seria che non si accontenti di slogan affascinanti ma scarsamente incisivi, ricordando che solo con l’approvazione della legge 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, la prevenzione è diventata, insieme alla cura e alla riabilitazione, uno dei cardini su cui poggia il diritto alla tutela della salute.

E’ stata una conquista straordinaria avvenuta al termine di un lotta lunga, sofferta e contrastata veementemente da forze politiche, economiche e di categoria che combattevano la legge di riforma propagandandola come il grimaldello delle “sinistre” per abituare il paese ad essere governato in modo sovietico, omettendo che il nostro modello sanitario veniva così equiparato alla Gran Bretagna e ad altri paesi europei che non risultavano sottoposti al tallone comunista (vizio propagandistico rimasto intatto ai giorni nostri, nonostante l’Urss sia defunta da ormai 13 anni).

Da quel momento è iniziato il grande e complesso impegno di trasformare l’elaborazione teorica in realizzazione pratica. Certo non si è partiti dall’anno zero. Ma riuscire a dare corpo unitario ad esperienze differenziate, programmare e realizzare servizi e presidi innovativi, costituire insomma la “rete” territoriale della prevenzione non è stata certamente cosa facile e scontata. Addirittura in alcuni settori si sono formate nuove specialità professionali che rispecchiano fedelmente i cambiamenti intervenuti nella società in termini di sensibilità ambientale.

Ora, dopo un quarto di secolo, è possibile stilare un bilancio abbastanza positivo, ma serve ancora di più interrogarsi su cosa non ha funzionato e indicare e proporre nuovi traguardi.

La prevenzione si basa su presupposti parzialmente diversi dalla cura. Mentre quest’ultima è organizzata per rispondere all’urgenza ed emergenza poste da condizioni di salute individuali eventualmente o dichiaratamente compromesse, la prevenzione è organizzata e ha la sua ragione d’essere se e in quanto esplica azioni a garanzia della collettività siano esse finalizzate all’educazione sanitaria, alle varie e multiformi attività di controllo/ispezione/repressione (sperando che quest’ultima non prevalga sulle altre) esercitate su gangli importanti del vivere civile – si pensi agli alimenti, ai luoghi di lavoro, alle scuole, ecc., ecc.

In questo contesto non si sono completamente colti gli obiettivi di creare negli addetti una forte identità e un comune senso d’appartenenza fondamentali in un servizio pubblico a caratteristiche funzionali talmente delicate.

A ciò hanno contribuito non poco due decisioni politiche.

La prima è stata la separazione delle competenze, sancita dal referendum del 1993, tra controlli ambientali e controlli sanitari, completamente immotivata tanto che il personale delle agenzie nazionali e regionali preposte (Anpa e Arpa) godono del trattamento contrattuale della sanità.

La seconda, in ossequio alla tesi mercantile (e ridicola) de “l’ospedale che vende prestazioni, l’Ulss che le compra” la separazione tra l’ospedale e il territorio che ha messo in discussione sia la teoria e la pratica della “rete unitaria dei servizi” e, ancora più importante, il fine per il quale opera il Servizio Sanitario Nazionale, la tutela della salute di tutti i cittadini.

In un tale quadro, la sofferenza della prevenzione, “rete” per eccellenza, è stata e rimane forte ed inevitabile se non decolla una cultura politica socialmente attenta e attrezzata ad assumersi fino in fondo le responsabilità attribuite loro dagli elettori.

 

 

 

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