A PROPOSITO DI CONCORSI

(universitari o no)

 

Le cronache italiane registrano ciclicamente inchieste giudiziarie, aperte da solerti magistrati, contro direttori universitari colpevoli di aver truccato concorsi per favorire tizio al posto di caio.

In pratica, i luminari si metterebbero d’accordo utilizzando i vari posti a disposizione come le caselle di una scacchiera da assegnare a parenti e amici.

Generalmente queste inchieste sono attivate su sollecitazione di candidati che si ritengono danneggiati se non minacciati e non è raro il caso della busta, affidata preventivamente nelle mani di un notaio, il quale, una volta espletato il concorso, la apre e vi legge il nome del vincitore effettivo.

Generalmente da queste vicende nascono polveroni immani, sui quali prosperano accesi dibattiti sulla corruzione (altrui) presente nella nostra società, polveroni che il tempo si incarica di far dimenticare all’opinione pubblica mentre sapienti menti giuridiche s’impegnano, il più delle volte riuscendoci, a restituire l’onore a chi temeva di averlo perduto.

Ma il punto della riflessione è un altro ed è costituito dalla necessità di capire cosa sono i concorsi, di spendere una parola di verità su come si svolgono e se esistono, aldilà degli scandalismi, modalità e meccanismi diversi dagli attuali per garantirne regolarità e validità.

Cominciamo dal primo punto.

Al riguardo,è indispensabile precisare che i concorsi di cui si parla sono banditi per assegnare posti di direzione universitaria. Coloro che si candidano non presentano una domanda per aspirare ad un posto di primo impiego ma debbono essere adeguatamente forniti di un curriculum sufficiente per i requisiti richiesti e adeguato dal punto di vista professionale. Sono, quindi, professionisti conosciuti nell’ambiente scientifico di cui fanno parte e intendono partecipare ad una tenzone di cui non solo conoscono gli altri concorrenti e i relativi curricula ma anche i componenti della commissione giudicante, scelti tra professori gerarchicamente di grado più elevato e, cosa importantissima, della stessa area scientifica.  

E qui si arriva al secondo punto della riflessione.

Per le considerazioni oggettive sopra accennate, un concorso di questo tipo è influenzato fin dalla fase preparatoria da contatti e scambi di opinioni tra i commissari allo scopo di assumere un orientamento sufficientemente omogeneo. Soltanto un erede, ancora più sprovveduto, di Alice, quella del paese delle meraviglie, può pensare che questi scambi di idee riguardino solo il compito da assegnare all’esame e non si allarghino anche a ragionare su un candidato che la commissione possa ritenere idoneo a coprire l’incarico, arrivando ad individuarlo. In sovrappiù, solo l’abbondante ipocrisia che permea molti comportamenti, può fa finta di ignorare la stretta relazione esistente tra il primo e questo punto della riflessione.

Sul terzo punto e cioè se esistono altri sistemi concorsuali alternativi e migliori, non risultano proposte alternative e che abbiano comunque le caratteristiche di essere saldamente realistiche. Qualcuno, stranamente anche tra coloro che gridano allo scandalo, dice che bisognerebbe abolire i concorsi e dare la responsabilità totale della scelta a chi detiene ruolo e funzione di direzione.

Tralasciando che, per quanto riguarda gli universitari, questo si scontra con l’autogoverno delle loro istituzioni, il sottoscritto, insieme ad altri, non nega di aver coltivato nel passato analoghe idee, ma quanto accaduto nel Servizio Sanitario Nazionale ha velocemente convinto, lui e gli altri, a cambiare idea.

Nel Servizio Sanitario Nazionale è attualmente in vigore una procedura che, per le posizioni di direzione di reparto o servizio, prevede un colloquio con i candidati da parte di una commissione e la designazione su decisione monocratica del direttore generale dell’azienda sanitaria. Questo meccanismo, contrariamente alle aspettative, ha accentuato il clientelismo attuato in modo ambiguo e sotterraneo, ammantando il tutto con la foglia di fico della decisione cosiddetta “tecnica”.

Per i puristi ciò rappresenta una sconfitta senza precedenti, perché rispettando la forma, il risultato che ne esce è francamente peggiore dal punto di vista, conterà pur qualcosa, professionale, etico e morale.

Assodato che non esistono sistemi perfetti, che a volte i clientelismi sono denunciati da coloro che non ne sono stati –ahi loro- vittime, che il ricorso alla magistratura funziona come una roulette russa e non risolve il problema, resta da domandarci se quanto accade di inaccettabile, e di cose inaccettabili ce ne sono, si possa combattere attraverso un rigore etico e morale che allo stato appare anacronistico ma sul quale vale la pena ancora una volta di puntare, per evitare che lo scandalismo non diventi, come purtroppo a volte lo diventa, l’anticamera della privatizzazione degli interessi generali.

 

Roberto Buttura

 

 

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