Dal Principe di Salina alla devolution.

 

Alcune riflessioni sull’articolo PASSIONE CIVILE O POSTO DI LAVORO?.

 

Vorrei partire, citando a memoria, la frase detta dal Principe di Salina durante l’avanzata garibaldina “tutto cambi affinché tutto rimanga come prima”. Su questa frase si è negli anni creato il  neologismo “gattopardesco” significante l’adattamento passivo alla nuova realtà. Bisogna dire che la frase coniata da Tomasi di Lampedusa era suggerita da un vecchio motto siciliano “chinati giunco che passa la piena”. Ora nell’Italia del terzo millennio questo modo di pensare è diventato obsoleto, nel nostro paese non è più sufficiente che tutto rimanga come prima: deve essere notevolmente peggiorato.

Per supportare queste mie riflessioni devo fare una breve cronistoria del nostro recente passato, utilizzando come si usa dire adesso tre linee guida: crollo dei partiti e bipolarismo, dal federalismo alla devoluzione, società civile e incarichi politici.

A causa di quella che fu chiamata tangentopoli vi fu un bradisismo politico che portò all’implosione di parecchi partiti politici e cosa ancora più importante, per non dire deleteria, alla smania di “riformare” il sistema della rappresentanza, pensando, a mio avviso erroneamente, che la colpa di tutto quanto stava succedendo era nell’esistenza dei partiti politici, pertanto si pensò di trasformare sull’onda emotiva, parecchio pilotata, il nostro sistema politico in un sistema bipolare maggioritario, seppure con una correzione di proporzionale. Pensando che questo avrebbe dato come risultato, da una parte una moralizzazione del sistema politico e dall’altra stabilità. Parola questa taumaturgica, stabilità, come se la stabilità in un sistema di rappresentanza fosse un valore in sè, e non fosse deleteria nel caso in cui la maggioranza al potere, come l’attuale, governi in maniera pessima. Ma ritorniamo al punto principale analizzando i risultati di tale riforma. Non so dire se il sistema attuale sia meno corrotto del precedente, ma sinceramente non ci giurerei, non mi sembra che poi abbia portato ad una semplificazione del quadro politico, i partiti o presunti tali sono aumentati di numero e diminuiti di rappresentanza. La stabilità non è stata raggiunta, se si pensa che nella scorsa legislatura si sono succeduti tre Presidenti del Consiglio e che nell’attuale maggioranza non si cambia il Presidente solo ed esclusivamente perché il Presidente è anche il padrone del partito di maggioranza relativa, con in più in possesso di parecchie “azioni” dei partiti alleati. Ma il risultato più eclatante della spinta riformatrice è stato il rimescolamento dei vari attori, e qui mi collego alla domanda dell’articolo passione civile o posto di lavoro? Sparare ad alzo zero contro i partiti  prima e contro le ideologie poi ha portato al bellissimo risultato che, analizzando gli eletti al parlamento nazionale si trovano deputati già democristiani ora allogati in Alleanza Nazionale, Forza Italia, Udc, Udeur Partito Popolare e DS. Lo stesso dicasi per i socialisti, repubblicani e socialdemocratici. Capitolo a parte per gli ex comunisti i quali si sono divisi in tre partiti più Occhetto con Di Pietro. Altra situazione particolare e quella dei radicali, che ogni giorno ci ricordano delle loro (nostre) battaglie per il divorzio prima e l’aborto poi, i quali con molto pragmatismo si sono spesso alleati con gli ex fascisti, da sempre contrari sia al divorzio sia all’aborto, senza contare poi che uno di loro, Rutelli, già radicale poi verde ambientalista si trova ora, miracolo della nostra politica riformata, presidente  della Margherita, partito di derivazione popolare/democristiana.

Passiamo alla seconda delle linee guida, il federalismo ora trasformato in devoluzione, processo questo che parte già con un errore semantico, in quanto il federalismo si è sempre inteso come l’unirsi di entità separate in un insieme più grande e non mi consta del contrario. Ma nel nostro strano paese è possibile che, una sparuta minoranza del paese, incidentalmente la più ricca, si industrii nel perseguire una visione dello stato non più unitario ma spezzettato in più entità autonome, e che su questa visione antistorica e profondamente egoistica, la maggioranza si impegni non ha contrastare nei contenuti questa politica, ma al motto di, più realisti del re, si metta in atto modificazioni statuali che hanno portato e ancora più porteranno alla duplicazione di apparati burocratici che nulla hanno a che vedere con una visione moderna dello stato o alla vicinanza tra cittadini ed istituzioni. In questi giorni post elezioni amministrative si sta perpetrando uno di quei avvenimenti politici che assumono in se l’essenza del “nuovo avanzato” e cioè lo scambio tra sopravvivenza del Governo in cambio della devoluzione, parola questa entrata da poco nel linguaggio politico. In pratica cosa accadrà qualora questo scellerato scambio venisse portato fino in fondo, che una forza politica arroccata in quattro regioni, rappresentante il 5 per cento degli elettori, stravolgerà la struttura fondante dello stato italiano, e tutto questo perché il 5 per cento degli elettori, imbevuti d’egoismo e razzismo, possono essere usati come spada di Damocle sul capo del Presidente del Consiglio.

A questo punto posso passare all’ultima delle linee guida, riallacciandomi all’articolo che con molto acume metteva in risalto quanto la scelta dei candidati alle elezioni, siano amministrative o politiche, assomigli più ad un ufficio di collocamento che ad un reale impegno politico. Non potrebbe essere diversamente se si pensa a quanto negli ultimi due lustri si sia da una parte demonizzato i partiti, specialmente quelli riformisti e di sinistra, e dall’altra invocata la società civile, come quintessenza dell’onestà e della capacità. Che questo abbia impedito la crescita democratica di una nuova classe dirigente è sotto gli occhi di tutti. Se ogni istanza democratica viene svilita e indebitamente bollata di partitocrazia, si prenda per esempio la sanità pubblica, dove sulla spinta manichea della falsa moralizzazione, si è passati da un consiglio di amministrazione, di cui facevano parte maggioranza e opposizione del territorio dell’Usl, ad un organo monocratico designato dal governatore di turno, ove le istanze del territorio non hanno nessuna voce, in quanto il valvassino deve rendere conto solo al valvassore regionale. A tutto questo bisogna aggiungere anche un altro aspetto teso a rendere più appetibile “l’impegno” amministrativo e cioè i soldi in quanto ricoprire una qualche carica politica-amministrativa rende molto più di prima, in certi casi, tipo sempre la sanità non vi è proprio paragone tra gli emolumenti dell’allora presidente rispetto ai “tecnici” dei giorni nostri. Mi sembra giusto la professionalità deve essere pagata, e pagandoli molto sono immuni da tentazioni, che poi sia vero: ai posteri l’ardua sentenza.

 

Luciano Meneghelli

 

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