USA: NIENTE SALUTE PER TUTTI

 

Bastano pochi dati sui moltissimi forniti per condannare non tanto e non solo il sistema sanitario statunitense quanto la cultura sulla quale proliferano le esclusioni, le disuguaglianze, le disfunzioni, gli sprechi.

 

Il “Census Bureau”, l’equivalente del nostro Istat, ha appena pubblicato un rapporto sullo stato di salute (per modo di dire) della sanità americana dal quale emerge che nel 2002 su un totale di 286 milioni di abitanti (erano 282 milioni nel 2001) ben 43 milioni e mezzo pari al 15,2 per cento (erano poco più di 41 milioni pari al 14,6 nel 2001) dell’intera popolazione non hanno nessun tipo di assicurazione e quindi non godono di nessuna copertura sanitaria.

 

Le polizze, infatti, subiscono incrementi annuali del 10 per cento e, ormai, il costo per un’assicurazione sulla propria salute costituito da una piattaforma di prestazioni base, da cui sono esclusi tanto per intenderci interventi di rilievo, sorpassa tranquillamente i dodicimila dollari annui.

 

Tra le più colpite dall’esclusione volontaria o meno da qualsiasi cura sono le persone di etnia ispanica e coloro che guadagnano meno di 50 mila dollari annui.

Un’assoluta vergogna per un paese che occupa largamente la prima posizione in termini di spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) che si aggira sul 13,9% (56% privata e 44% pubblica)  del prodotto interno lordo, rispetto tanto per fare un esempio al 10,7 (rispettivamente 25 e 75) della Germania, al 9,5 (24 e 76) della Francia, al 8,4 (24,5 e 75,5) dell’Italia.

 

Nonostante questo record di inciviltà, in cui purtroppo è accomunato il sistema politico americano, il Presidente Bush, forte dell’approvazione del Congresso, intende attuare la privatizzazione del “Medicare”, l’assistenza pubblica attualmente assicurata a 40 milioni di anziani, attraverso uno scambio che consiste nel coprire parzialmente da parte pubblica i costi delle medicine (oggi a totale carico dell’assistito) facendo pagare all’anziano un premio annuale di 420 dollari per poter usufruire dell’assistenza (degenza in ospedale, visite mediche, assistenza domiciliare). Il progetto prevede la messa in appalto di servizi ai privati ai quali saranno concessi anche contributi governativi e l’entrata in gioco delle aziende farmaceutiche in difficoltà per l’assenza di nuovi farmaci da immettere nel circuito sanitario.

 

La premessa di tutto ciò è rappresentata dal deficit del bilancio federale fortemente appesantito dalla guerra irakena e ulteriormente aggravato dalla richiesta di prelievo dalle tasche dei contribuenti americani (anche di quelli che non possono permettersi di pagare una polizza assicurativa) di 87 miliardi di dollari per finanziare il dopoguerra.

 

L’America è un grande Paese, ma ogni giorno di più dà l’impressione, in questo non vorremmo essere accusati in modo semplicistico di antiamericanismo, di difendere non tanto e non solo il proprio primato politico ma anche gli sprechi e gli sperperi che non si concentrano solo nella sanità ma si estendono in altri settori, l’energia ad esempio, sui quali è ormai attivo un forte e serrato dibattito relativo all’ambito d’interesse e al modo d’uso di risorse fondamentali per l’uomo.

Tuttavia, il sistema americano, almeno in campo sanitario, sta mostrando crepe proprio all’interno di quella classe media che ne è la tutrice.

 

E’ di questi giorni la notizia di un’ondata di scioperi che stanno paralizzando Los Angeles. Le proteste sindacali traggono origine dall’aumento vertiginoso delle assicurazioni mediche. Per tentare di bloccarle, la Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia federale responsabile tra gli altri della politica del farmaco, in evidente contraddizione con le proposte governative, sta facilitando la vendita dei farmaci generici mettendosi in questo modo in forte contrapposizione con l’industria farmaceutica.

 

Come si vede i nodi alla fine vengono al pettine ma, purtroppo, allo stato attuale non è dato sapere il pensiero e le azioni dell’amministrazione Bush.

 

Sull’argomento, lo confessiamo, siamo fortemente curiosi, come ci piacerebbe lo fossero anche molti massmedia (non tutti) più interessati alla superficialità che all’approfondimento delle notizie.

 

                                                                         

                                                                          ROBERTO BUTTURA